nel segno del serpente by pietro caracciolo

nel segno del serpente by pietro caracciolo

autore:pietro caracciolo [caracciolo, pietro]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: fantascienza
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

Erano sporchi di terra e di fango. Come tutti quanti i legionari impegnati nello scavo delle trincee.

La terra era nerissima, piena di humus e umida come se quella zona fosse soggetta a piogge frequenti.

Ma oltre al sudiciume che li copriva, c'era anche la stanchezza che di momento in momento prendeva sempre più piede in loro, diventando quasi materiale, percettibile.

Nessuno dei due era abituato a quella specie di lavori forzati, a differenza invece dei legionari.

Era una tradizione quella di fare scavare delle trincee ogniqualvolta l'esercito faceva una sosta più lunga di quattro vigilie. Caius Tertius l'aveva appresa nella Terza Legione in cui aveva militato più volte, e i tribuni da precedenti tribuni.

Era un modo di tenere impegnati gli uomini in momenti di stasi, per sedarne le possibili rivolte e per fiaccarne le forze.

In quel territorio non c'erano nemici. Nessuno avrebbe osato sfidare quella centuria. Eppure Caius Tertius Velox aveva ordinato la costruzione delle trincee e per una sosta di soli quattro giorni.

Davide si fermò un attimo cercando di prendere respiro. Aveva le braccia stanchissime e le mani piene di vesciche. Comunque anche Shamir non sembrava in condizioni migliori.

La pala che stava usando non era molto diversa da quelle che sarebbero state usate dai contadini nei campi duemila anni dopo. Era solo più larga e meno concava. Quasi piatta. E l'angolazione rispetto all'asse rendeva necessario il preventivo utilizzo della zappa.

Il legno del bastone non era liscio, bensì lasciato allo stato grezzo con corteccia e nodi e questo ne rendeva difficile la presa.

Tuttavia i legionari, a differenza di Davide e Shamir, le usavano con disinvoltura.

Vedendo Davide fermo, anche Shamir poggiò il suo attrezzo per terra e si appoggiò alla sponda del terrapieno.

— Un bel salto di qualità — disse Shamir in tono ironico. — Da scienziato a spalatore. Dico bene, professor Monet?

— I tempi cambiano — si limitò a dire Davide che non aveva affatto voglia di parlare. — Comunque non sono il solo a spalare.

— Nessuna preoccupazione — disse Shamir di rimando. — Questa notte fuggiremo.

— Se ne avremo la forza — commentò sarcastico Davide.

— La troveremo. Non ho fatto un viaggio di duemila anni per scavare al servizio dell'esercito di Roma. Stanotte andremo via.

— Ci proveremo.

Shamir scosse il capo. — Lo faremo — disse in un tono che non ammetteva repliche. — E porteremo con noi quella donna...

— Lavorate, voi due! — grugnì un legionario di guardia, da sopra lo scavo. E nel fare ciò diede un calcio alla terra, facendo cadere addosso a Davide e a Shamir una pioggia di terriccio e di erba.

La mano di Shamir corse verso la tasca dove teneva nascosta la pistola. — Io l'ammazzo, quello lì — grugnì mentre i suoi occhi si riempivano di odio.

Davide gli fermò il braccio a mezz'aria. — Stia calmo — gli intimò. Ma in cuor suo sapeva che difficilmente Shamir l'avrebbe ascoltato. Era troppo imbottito di droga, per poter agire in modo coerente.

Stranamente Shamir si fermò. Diede un'alzata di spalle e, con un sorriso, disse: — Non ha importanza.



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