Odissea by omero

Odissea by omero

autore:omero [omero]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: cover, italiano, public domain, archivio italiano
ISBN: 9788866611561
Google: 1IdUAwAAQBAJ
pubblicato: 2013-03-28T08:57:02+00:00


LIBRO TREDICESIMO

Stavansi tutti per l'oscura sala

Taciti, immoti, e nel diletto assorti.

Così al fine il silenzio Alcinoo ruppe:

“Poiché alla mia venisti alta e di rame

Solido e liscio edificata casa,

No, Ulisse, non cred'io che al tuo ritorno

L'onde t'agiteran, comunque afflitto

T'abbia sin qui co' suoi decreti il fato.

Voi, tutti, che vôtar nel mio palagio

Del serbato ai più degni ardente vino

Solete i nappi, ed ascoltare il vate,

L'animo a quel ch'io vi dichiaro, aprite.

Le vesti e l'oro d'artificio miro,

E ogni altro don, che de' Feaci i capi

Recâro al forestier, l'arca polìta

Già nel suo grembo accolse. Or d'un treppiede

Anco e d'un'urna il presentiam per testa;

Indi farem che tutta in questi doni,

Di cui male potremmo al grave peso

Regger noi soli, la città concorra”.

Disse; e piacquero i detti, e al proprio albergo

Ciascun le piume a ritrovar si volse.

Ma come del mattin la bella figlia

Aperse il ciel con le rosate dita,

Vêr la nave affrettavansi, portando

Il bel, che onora l'uom, bronzo foggiato.

Lo stesso re, ch'entrò per questo in nave,

Attentamente sotto i banchi il mise,

Onde, mentre daran de' remi in acqua,

Non impedisse alcun de' Feacesi

Giovani, e l'offendesse urna o treppiede.

Né di condursi al real tetto, dove

La mensa gli attendea, tardaro i prenci.

Per lor d'Alcinoo la sacrata possa

Un bue quel giorno uccise al ghirlandato

D'atre nubi Signor dell'Universo.

Arse le pingui cosce, un prandio lauto

Celebran lietamente; e il venerato

Dalla gente Demodoco, il divino

Cantor, percuote la sonante cetra.

Ma Ulisse il capo alla dïurna lampa

Spesso torcea, se tramontasse al fine;

Ché il ritorno nel cor sempre gli stava.

Quale a villan, che dalla prima luce

Co' negri tori e col pesante aratro

Un terren franse riposato e duro,

Cade gradito il Sole in occidente,

Pel desìo della cena, a cui s'avvia

Con le ginocchia, che gli treman sotto:

Tal cadde a Ulisse in occidente il sole.

Tosto agli amanti del remar Feaci,

E al re, più che ad altrui, così drizzossi:

“Facciansi, Alcinoo, i libamenti, e illeso

Mandatemi; e gl'iddii vi guardin sempre.

Tutti ho già i miei desir: pronta è la scorta,

E della nave in sen giacciono i doni,

Da cui vogliano i dèi che pro mi vegna.

Vogliano ancor, che in Itaca l'egregia

Consorte io trovi, e i cari amici in vita.

Voi, restandovi qui, serbate in gioia

Quelle, che uniste a voi, vergini spose,

E i dolci figli che ne aveste: i numi

V'ornin d'ogni virtù, né possa mai

I dì vostri turbar pubblico danno”.

Tacque; e applaudìa ciascuno, e molto instava

Si compiacesse allo stranier, da cui

Uscita era sì nobile favella.

Ed Alcinoo all'araldo allor tai detti:

“Pontonoo, il vino mesci, e a tutti in giro

Porgilo, acciò da noi, pregato Giove,

S'accommiati oggimai l'ospite amico”.

Mescé l'araldo il vino, e il porse in giro;

E tutti dai lor seggi agl'immortali

Numi libaro. Ma il divino Ulisse

Sorse, e d'Arete in man gemina pose

Tazza rotonda, e tai parole sciolse:

“Vivi felici dì, Regina illustre,

Finché vecchiezza ti sorprenda, e morte,

Comun retaggio degli umani. Io parto:

Te del popol, de' figli e del marito

Il rispetto feliciti e l'amore”.

Disse, e varcò la soglia. Alcinoo innanzi

Muover gli fece il banditor, che al ratto

Legno li guidasse e al mare: e Arete dietro

Tre serve gli spedì, l'un con tersa

Tunica in mano ed un lucente manto,

L'altra con la fedele arca, e con bianchi

pani la terza e rosseggianti vini.



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