Passoscuro by Massimo Ammaniti

Passoscuro by Massimo Ammaniti

autore:Massimo Ammaniti [Ammaniti, Massimo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2022-08-02T00:00:00+00:00


5

IL RITORNO AL PADIGLIONE 8

Conclusa la mia esperienza presso la scuola di piazza della Scala a Trastevere, fui assunto come neuropsichiatra infantile presso il Centro di igiene mentale di Roma. Lasciavo con dispiacere quella scuola, che mi era diventata così familiare e in cui avevamo realizzato qualcosa di impensabile fino a quel momento: la convivenza nelle stesse classi di bambini disabili e non. È vero che si trattava di una scuola materna in cui non c’erano programmi rigidi, ma la stessa esperienza poteva essere replicata anche nella scuola elementare, cosa che in seguito infatti avvenne. Non ci eravamo limitati a una generica integrazione, ma avevamo ripensato l’intera organizzazione didattica, tenendo conto delle esigenze di tutti.

Ero comunque contento di iniziare il lavoro presso il centro, dove mi sarei occupato sia di pazienti in età adulta sia di quelli in età infantile. E poi mi avrebbe consentito di tornare nel Padiglione 8, dal momento che l’ospedale faceva parte dell’organizzazione psichiatrica per la quale ero stato assunto. Ottenni dal direttore l’autorizzazione a suddividere il mio impegno lavorativo fra l’ambulatorio e il Padiglione, dove sarei andato due giorni alla settimana.

Erano passati sei anni da quella prima esperienza conclusasi con le mie precoci dimissioni, e si iniziava a respirare un’aria nuova nell’assistenza psichiatrica. Non ero più il solo a lottare per condizioni più umane e speravo di trovare anche in ospedale un ambiente più favorevole. Intanto, in quei sei anni mi ero specializzato, e dopo aver lasciato l’Istituto di neuropsichiatria infantile avevo fatto varie esperienze di lavoro che avevano consolidato la mia identità professionale. Nel rimettere piede nel Padiglione 8 ero molto emozionato ma anche consapevole che questa volta ce l’avrei fatta a occuparmi dei bambini, e forse anche a liberarli dalle maglie oppressive del manicomio.

Tutto era come lo ricordavo: il parco di pini, l’edificio color mattone, la porta d’ingresso verde e le finestre da cui si intravedevano le tende bianche di merletto. Suonai il campanello e mi venne ad aprire un’infermiera piuttosto corpulenta dall’aria affaticata. Quando chiamò suor Teresa, annunciandomi per cognome, la caporeparto e io ci ritrovammo faccia a faccia. Ne riconobbi l’espressione arcigna e il ciuffo di capelli che fuoriusciva dal copricapo, ora un po’ più bianco. Lei non diede segno di ricordarsi di me, così mi presentai dicendole che avrei iniziato il servizio nel Padiglione. Mi accompagnò dal primario, che avevo già incontrato e che mi aspettava per accordarci sul mio impegno. Mi accolse con cordialità, felice che avessi deciso di ritornare e di poter lavorare insieme. Era una persona che mi suscitava simpatia e rispetto, ma mi era difficile capire perché non riuscisse a imporsi con il personale per ottenere che i bambini fossero trattati con maggiore umanità. Dava l’impressione di camminare sulle uova, e quando parlava di lavoro e avanzava delle richieste si esprimeva con prudenza, circospezione e un certo impaccio, come se non potesse tollerare un contrasto con gli altri.

Ripensandoci oggi, trovo molte somiglianze con la figura dello psichiatra Andrej Efimyc, protagonista del racconto “La corsia n. 6”



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