Pino Scaccia, un inviato con l'anima by Anna Raviglione

Pino Scaccia, un inviato con l'anima by Anna Raviglione

autore:Anna Raviglione [Raviglione, Anna]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 978 88 32281 651
editore: Andrea Giannasi Editore
pubblicato: 2021-07-15T16:00:00+00:00


“Sono queste, le ricordo bene, le parole che udimmo tutti al Tg1”.

“Eravamo moltissimi della Rai, c'erano anche Floris e Petrone. Giulio Borrelli, che era il corrispondente, mi incaricò di organizzare i turni di notte. La sera portavo tutti i colleghi a Malberry Street, a Little Italy in un ristorante che conoscevo bene: Angelo's, un napoletano, cucina italiana doc, mangiavamo con i camerieri. Eravamo solo noi. Poi il primo weekend (cioè venerdì, l'attentato era stato martedì) trovammo fuori una fila lunghissima: i newyorchesi in pochi giorni avevano già superato il trauma, salvo naturalmente i familiari delle vittime, ma meno di tremila su venti milioni di abitanti sono niente. La gente dimentica in un tempo fulmineo. La vita riprese regolarmente, anche se ovviamente tutti erano ancora scioccati: non si aspettavano di essere attaccati in casa. Ma ci pensò Bush jr, che si autodichiarò presidente del mondo («o con me o contro di me») praticamente lanciando la guerra al terrorismo. E certo, l'occasione gli fu data (?) su un piatto d'argento”.

“Restasti a lungo a New York?”.

“La vita non era facile, stretto fra Borrelli e Gruber, così, dopo un mese dall’11 settembre, decisi di andare a Boston, la città da dove erano partiti due degli aerei schiantatisi sulle torri… sulle tracce degli attentatori”.

“Perciò decidesti di andare alla ricerca di Bin Laden?”.

“Proprio così. Mi meravigliai di due aspetti che forse spiegano l’apocalisse. Primo: l’aeroporto Logan era ancora un colabrodo. Secondo: trovai tracce pesanti di Bin Laden dappertutto. Andai dove viveva la madre (la strada era tutta sua, in piena Little Italy), tentai di incontrarla nell’albergo-residenza, ma fui bloccato dalla Cia. Poi arrivai all’università di Harvard, dove si era laureato un fratello, e al porto turistico nel palazzo dove abitava un altro fratello che ho sfiorato. Per capirci: il nemico gli Stati Uniti l’hanno sempre avuto in casa senza saperlo. Oppure lo sapevano. Ed è tuttora l’interrogativo più inquietante”.

“Vuoi dirmi che l'idea che i servizi ignorassero di avere il nemico in casa fa buchi da tutte le parti?”.

“Sì. Comprai il Boston Globe e scoprii due pagine intere che concretizzarono i miei dubbi. Appena il giorno dopo l'attentato c'era la ricostruzione dettagliata del percorso dei diciannove dirottatori, ciò significava che qualcuno li seguiva. Infatti, non sarebbe stato possibile altrimenti. La cosa più incredibile era la foto di Mohamed Atta, il capo dei dirottatori, che salutava prendendo l'aereo con cui si sarebbe schiantato, una foto ritrovata tra migliaia di fotogrammi in appena un giorno. Per l'attentato alla metro di Londra ci misero sei mesi. Incredibile davvero, pareva tutto calcolato. Poi nella polvere di Ground Zero, inavvicinabile per qualsiasi televisione, comprese quelle americane (era consentito soltanto a Channel Ten di New York, che provvedeva poi a inoltrare le immagini a tutte le altre emittenti), ritrovarono «il manuale del perfetto dirottatore» che manco a Hollywood... Tornato in Italia, chiedo a uno bravo del Sismi: ma com’è possibile? Risponde: «L’ipotesi più benevola è che quelli della Cia non abbiano capito cosa andava a fare». Atta era entrato negli Stati Uniti da



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