Pollock e Rothko by Gregorio Botta

Pollock e Rothko by Gregorio Botta

autore:Gregorio Botta
La lingua: ita
Format: mobi, epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2020-09-07T12:00:00+00:00


Nati dalla violenza.

Certo, un problema c’è. Teorico. Rothko ama pensare, ama chiarire, ama giustificare le sue scelte estetiche. Ama scriverne. E questa svolta è in clamorosa contraddizione con quanto sostenuto da lui e Gottlieb solo pochi anni prima (1943), quando, scrivendo al critico del «Times», spiegavano perché era necessario evocare forme arcaiche e antichi miti. E adesso, che le figure sono scomparse? Rothko cerca di sistemare la questione in quell’articolo già citato apparso su «Possibilities», che parte da una riflessione sulla solitudine dell’artista romantico in cerca della trascendenza. L’isolamento, dice, può essere un vantaggio, perché libera da un falso senso di sicurezza e spinge su strade ignote. «Io penso alle mie opere come drammi, le forme sono gli attori». Sono «organismi con una volontà e una passione di autoasserzione; si muovono con una libertà propria; non hanno nessuna associazione con l’esperienza visibile, ma in essi si riconoscono i principî e le passioni degli organismi». Gli artisti antichi avevano altri mezzi per aprirsi al mondo trascendente. Ma «quando mostri e dèi sono stati abbandonati come superstizioni l’arte è caduta nella malinconia […]. Io non credo che ci sia mai stata una questione di essere astratti o rappresentativi. La questione è di finirla con il silenzio e la solitudine, di ricominciare a respirare e ad aprire le braccia».

E con questo avrebbe dovuto risolvere la contraddizione: i quadri sono pur sempre messe in scena di drammi, solo che al posto delle figure, i protagonisti sono semplici forme non oggettuali. Soddisfacente? Per tutta la vita Rothko ha lottato non solo con la pittura, ma con le parole. Ha sempre rifiutato ogni definizione, sia quella di Espressionista astratto sia quella di action painter, che proprio non gli assomiglia.

Non sono interessato nelle relazioni di colori o forme, […] non sono un pittore astratto. Per me il colore è importante solo come un veicolo per esprimere le fondamentali emozioni umane: tragedia, estasi, sventura. La gente che piange davanti ai miei quadri sta avendo la stessa esperienza religiosa che io ho avuto quando li ho dipinti.

Per lui l’astrazione geometrica, cosiddetta hard edge (dalle linee dritte, per cosí dire), è insignificante: piatto decorativismo, vuoto formalismo. Ed è significativo che proprio mentre il soggetto sembra sparire dalle sue opere sottraendosi a qualsiasi chiara interpretazione, egli fondi, insieme a Still, Baziotes, Motherwell e Hare una scuola chiamata Subjects of the Artists: proprio per rendere esplicita l’importanza che ha ciò che si dipinge, e non il come. Quasi a dire: le mie forme sono non-figurative, ma questo non le rende meno necessarie, vive, vere. «Non ci può essere un buon dipinto di niente», aveva scritto anni prima.

Il dibattito sulle scuole, sui nomi e sulle idee che i quadri rappresentano, come abbiamo scritto, infuria: tanto è vero che l’allora direttore della «Partisan Review» William Barrett si permette di sfottere la storia della New York School come «un indecente traffico di idee, nel corso del quale è davvero rimarchevole se è stato prodotto qualche buon quadro».

Battute a parte, per Rothko è forse piú semplice definirsi montalianamente per «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».



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