Prima di noi by Giorgio Fontana

Prima di noi by Giorgio Fontana

autore:Giorgio Fontana [Fontana, Giorgio]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Letteratura e narrativa, Saghe famigliari
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 2020-01-29T23:00:00+00:00


7

Dicembre era sempre stato il suo mese preferito. La passione per l’alta quota che gli aveva trasmesso il padre era rimasta intatta; e non c’era niente di meglio che svegliarsi prima dell’alba nella casa buia e preparare scarponi, zaino e borraccia. Partiva in treno per Luino e da lì risaliva i colli innevati. I sentieri erano malconci, ma la sola assenza di rumori o parole era per Davide una ricompensa.

L’aria vibrava fredda e sferzante, brina in bocca. Il lago appariva e scompariva più in basso, mentre lui avanzava fra tronchi caduti e fanghiglia e sassi, progettando la prossima fuga – un fine settimana in Francia, in Austria, a Firenze, ad Ancona, ovunque. Più saliva e più sentiva i pensieri farsi sottili, quasi trasparenti. Ogni preoccupazione estinta. Dalla cima di un colle, proprio come da una città lontana, si voltava e misurava il percorso fatto: la schietta soddisfazione di aver coperto altri metri o chilometri.

Sui rami i corvi tenevano il becco aperto e battevano lentamente le ali. Lui scartava un panino e lo mangiava su una roccia piatta.

Sulla via del ritorno si fermava in una radura, gettava lo zaino ai piedi di un castagno e provava qualche combinazione di pugni. Jab, jab, gancio sinistro e schivata; montante destro. Bam. Finta a sinistra, entra nella guardia, gira, jab, nuova finta – e bam, un gancio sinistro al fegato.

Per un anno intero il Rimoldi aveva insistito con l’idea del professionismo: poteva parlare con uno di Milano, c’era una tal palestra dove l’avrebbero seguito. Davide lo ignorava. Continuava solo ad allenarsi con costanza, due volte a settimana, e a correre tutte le mattine nei campi. La domenica passava davanti al cascinotto che Eloisa e quei matti dei suoi amici avevano occupato. Li vedeva coltivare insalata e pomodori e cetrioli e cavoli e patate, fare riunioni all’aperto, discutere della società futura. Lui passava oltre salutandoli con un cenno, ben felice di restare nel presente.

E migliorava. A furia di esercizi aveva messo su un po’ di massa muscolare, benché rimanesse troppo magro. Sul ring si muoveva con grazia, a minuscoli passi laterali, e leggeva i movimenti degli avversari senza troppe difficoltà: finta, finta, jab, schivata, jab, schivata, gancio, schivata, ancora gancio. Schivata, jab, finta, montante.

«Su coi pugni!», ringhiava il Rimoldi, asciugandosi la bocca con un fazzoletto. «Cos’è, vuoi farmi vedere il bel faccino? Te me paret un gagà. Chiuso a riccio, devi stare!».

Eppure, nonostante la guardia disinvolta e guascona, i colpi degli altri andavano di rado a segno. Era l’unico a non avere lividi visibili: Paolone lo chiamava l’Angioletto, perché usciva dagli allenamenti e dalle lotte con quel suo viso da ragazzino, intonso e indifferente. E ora che i suoi pugni acquistavano peso, cominciava a diventare un problema anche per i migliori delle palestre vicine.

«Hai stoffa», gli ripeteva il Rimoldi. «Cuciamola per bene, dammi retta».

Ma a lui non interessava. Combatteva per ben altro: la boxe rispecchiava la sua visione del mondo. Un posto dove era il più determinato – non necessariamente il più forte – a prevalere.



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