Proust. I colori del tempo by Eleonora Marangoni

Proust. I colori del tempo by Eleonora Marangoni

autore:Eleonora Marangoni [Marangoni,Eleonora]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2022-10-30T00:00:00+00:00


Gustav Klimt, Ritratto di Sonja Knips, 1897-1898. Vienna, Österreichische Galerie Belvedere

era innamorata di lei e non riusciva a immaginarsela che in lilla. Ma ora, vedendola in nero, sentì che non ne aveva compreso tutto il fascino. Ora le apparve completamente nuova e inaspettata. E capì che Anna non poteva vestirsi di lilla e che il suo fascino consisteva proprio nel fatto che essa non si lasciava dominare dal suo abbigliamento e che l’abbigliamento non poteva mai prendere risalto a spese di lei. Neppure l’abito nero con le sue lussuose trine risaltava su di lei; era solamente una cornice e risaltava lei sola, semplice, naturale, elegante, e nel contempo gaia e vivace.21

Il rosa è un vecchio trucco e al tempo stesso un artificio volatile, ingenuo, che non regge il confronto con tinte più decise ed evapora non appena ci avviciniamo per toccarlo.

Quando, sulla spiaggia di Balbec, il Narratore osserva incantato Albertine, tutto quello che desidera è riuscire un giorno a impadronirsi del rosa “quasi commestibile” delle sue guance. Più lei gli sfugge, più lui si appassiona a lei “come a una specie di fiore”. Ma il tempo passa, e Albertine finisce per diventargli quasi indifferente. Un giorno, a Parigi, la ragazza va a trovarlo a casa sua: dopo tanto sospirare, e contro ogni speranza, lui può finalmente provare ad avvicinarla. Per decidersi a farlo gli occorrono una buona dozzina di pagine, non tanto perché non trovi il coraggio quanto perché sente in cuor suo che quel rosa tanto anelato finirà per deluderlo.

Il racconto del primo bacio fra i due è un capolavoro di lirismo buffo che unisce trasporto e disincanto: somma abilità di Proust, quella di mostrarci il lato maldestro dei momenti più solenni, ricordandoci così che la realtà delle cose è spesso più goffa dell’idea che ce ne siamo fatti:

Bastava che mi dicessero che era a Parigi e che era passata da me perché la rivedessi come una rosa in riva al mare. Non so neppure se fosse il desiderio di Balbec o di lei che s’impadroniva di me allora, forse il desiderio di lei era esso stesso una forma pigra, vile e incompleta di possedere Balbec, come se possedere materialmente una cosa, fare di una città la propria residenza, equivalesse a possederla spiritualmente.

E d’altronde, anche materialmente, quando lei non era più cullata dalla mia immaginazione dinanzi all’orizzonte marino, ma immobile al mio fianco, spesso mi sembrava una ben misera rosa, davanti alla quale avrei certo voluto chiudere gli occhi per non vedere questo o quel difetto dei petali, e per convincermi che respiravo sulla spiaggia. [...] Non la vedevo da molto tempo. E siccome non conoscevo, nemmeno di nome, le persone che frequentava a Parigi, non sapevo niente di lei durante quei periodi in cui non veniva a trovarmi. Questi erano spesso abbastanza lunghi. Poi, un bel giorno, bruscamente spuntava Albertine, le cui rosee apparizioni e le silenziose visite mi ragguagliavano ben poco su quel che aveva potuto fare nel loro intervallo, che restava immerso in quell’oscurità della sua vita che i miei occhi non si curavano affatto di penetrare.



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