Psicologia Digitale by Alessandro Calderoni

Psicologia Digitale by Alessandro Calderoni

autore:Alessandro Calderoni [Calderoni, Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
Amazon: B00DQ497OM
editore: Ecomind
pubblicato: 2013-06-26T22:00:00+00:00


Proposta ed esordio

L’occasione giusta per passare alla pratica è arrivata nel 2010, quando nel corso di una serie di incontri destinati alle scolaresche milanesi sotto forma di conferenza-spettacolo sui temi della prevenzione del cyber bullismo e dell’assunzione di sostanze stupefacenti, è stato possibile dialogare con alcuni esponenti istituzionali della politica e della sanità lombarda sui registri lessicali più opportuni da utilizzare quando si parla a un pubblico di adolescenti. È ripetutamente balzato agli occhi di tutti che fosse necessario fare qualcosa anche attraverso la rete. Dopo aver discusso di psicologia digitale in ambienti editoriali e nelle Asl di cinque regioni diverse, raccogliendo costantemente interesse, curiosità e scetticismo nonostante la cospicua bibliografia scientifica, quello era il momento adatto per partire con un progetto reale.

L’idea era semplice. Si trattava di creare uno spazio virtuale di conversazione in tempo reale (chat) e differito (e-mail) che fosse in grado di attirare senza grossi sforzi né investimenti pubblicitari il maggior numero possibile di adolescenti, avvicinandoli alla richiesta di aiuto psicologico attraverso uno strumento che eliminasse la vergogna, abbattesse l’istituzionalità del consulto, fosse gratuito, facile da usare e accessibile da qualunque luogo.

A tutto questo si accostava la necessità di rendere il progetto sostenibile sotto un punto di vista economico, cioè poco costoso e in grado di portare subito buoni risultati. Una vera sfida. Per questa ragione la prima scelta fondamentale è stata quella di adottare una realtà on line già esistente, e non di crearne una ex novo. Studiare i contenuti, la grafica e lo sviluppo di un sito web pensato ad hoc avrebbe richiesto mesi di lavoro e grossi esborsi, senza considerare che per convincere un ragazzo a navigare su un sito occorre un marketing molto lontano da quello che normalmente si associa alle iniziative pubbliche per la salute dei teenagers. Sarebbe stato inutile (e deprimente) spendere tanto, mettere in piedi un prodotto bello e funzionale, e non avere alcun utente registrato, secondo il tipico effetto della cosiddetta pubblicità progresso, che ti suggerisce di fare o non fare qualcosa con quel tono così simile alla predica di un genitore che il risultato immediato è un comportamento opposto o indifferente da parte dell’adolescente.

Siamo partiti da Facebook. Era il posto giusto. La stragrande maggioranza degli under 20 ha già un profilo e passa molto del suo tempo su quel social network, tutti i giorni, quindi non sarebbe stato così difficile intercettare la presenza e il tempo in rete dei teenagers. Inoltre utilizzare la struttura e le funzionalità di Facebook voleva dire evitare in toto di costruire un’architettura che sicuramente sarebbe risultata meno testata di un colosso come quello di Zuckerberg. Un ulteriore elemento a vantaggio del social network è la sua interfaccia che implementa contemporaneamente messaggi a sincroni e chat, è multimediale, rende facile l’acquisizione di informazioni e il controllo dei soggetti e non richiede che si perda troppo tempo a spiegare agli utenti cosa fare e come farlo perché l’ambiente è già ben noto.

Scelto il mezzo, il secondo passo è stato dare un nome all’iniziativa. Possibilmente un nome e un volto, che non fosse un volto noto, e magari che non fosse nemmeno un volto reale.



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