Quando le parole sono cose by Donata Chiricò

Quando le parole sono cose by Donata Chiricò

autore:Donata Chiricò [Chiricò, Donata]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Mimesis
pubblicato: 2021-03-30T10:44:27+00:00


Capitolo 7

Disarmare il linguaggio

Le parole sono teste che spuntano dall’ombelico della vita

come te che, da una galassia misteriosa, mi vieni incontro. […]. Esistono cose e situazioni che non si osano invocare

ma che si desiderano con una pietà ardente

[...] sono le tracce dei regni dello spirito antico

che, in noi, sussistono

e che la mano della conoscenza non ha raggiunto.

Zhabiya Khamis, Lo spirito antico

Come abbiamo avuto modo di osservare (cfr. supra, cap. 4), il nuovo ruolo attribuito alla corporeità dal sensismo di Condillac produce l’importante risultato di suggerire che esiste un rapporto tra fare e pensare e che l’intelligenza è propriamente una forma di “manipolazione” del mondo e di se stessi animata dal desiderio. Abbiamo altresì visto che lo svolgersi della vicenda di cui è protagonista la statua che abita le pagine del Trattato sulle sensazioni (1754) consegna alla riflessione successiva una forma molto interessante di mutismo efficiente, la quale lascia credere che in quel paradigma le risposte sull’origine del linguaggio non possano essere trovate nello stesso modo in cui erano state trovate quelle su altre forme di interazione intelligente con il mondo. In realtà, questo inciampo è tale solo in apparenza. L’autorevolezza di una proposta filosofico-linguistica come quella di Condillac preludeva a una risposta e questa non tarda ad arrivare. La troviamo, non a caso, nel più eretico dei suoi successori: Marie-François-Pierre Maine de Biran (Chiricò 2019b; 2020).

Sebbene in vita avesse pubblicato pochissimo rispetto alla sua produzione manoscritta e per di più in forma anonima (Maine de Biran 1802; 1817; 1819), egli rappresenta senza dubbio l’erede più originale della gloriosa tradizione di studi che, dall’Encyclopédie in poi, aveva messo al centro del suo programma la questione del rapporto tra conoscenza-esperienza del corpo e emergere dell’intelligenza e del linguaggio. È grazie a lui che questo paradigma, già suggestivo e stimolante, si arricchisce, tra l’altro, di un’analisi del comportamento umano basata su una originale intuizione: l’esistenza di cosiddette “percezioni rimosse” (perceptions obscurcies). Descritte come irriducibili tanto all’azione dei sensi quanto a quella della mente e ai loro reciproci rapporti, Maine de Biran ritiene che funzionino come una sorta di “impulso nascosto”, di processo “simile alla fame o all’istinto all’accoppiamento” di fatto capace di “padroneggiare la volontà, assorbire l’intelligenza, modificare il corso delle idee”. In grado di riaffiorare (se raviver) grazie al “riattivarsi delle condizioni che ne hanno determinato l’origine”, per il resto esse si sottraggono alla coscienza e, tuttavia, esercitano una “costante influenza tanto difficile da controbilanciare quanto lo è la sua fonte” (Maine de Biran 1807, pp. 2, 4 e 16). Mostrando per l’argomento in questione un acume della cui eccezionalità ci si rende conto probabilmente solo a partire dall’“invenzione dell’inconscio” (Recalcati 2007, p. 2) da parte di Freud, Maine de Biran sottolinea che in “modo più o meno oscuro”, tale processo “si attiva tanto presso gli uomini primitivi quanto presso quelli civilizzati” e produce “un vago sentimento di inquietudine, un bisogno di agire e darsi da fare nei modi più disparati” (Maine de Biran 1807, p. 21).

Bisogna dire che anche la



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