Quando uccisero Maradona by Maurizio Crosetti

Quando uccisero Maradona by Maurizio Crosetti

autore:Maurizio Crosetti [Crosetti, Maurizio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EDIZIONI PIEMME
pubblicato: 2021-02-09T12:00:00+00:00


Sedici

La Paternal, come la Boca, è un quartiere nel cuore della città dove un giorno costruirono uno stadio. Ma se la Bombonera è impressionante anche vista da fuori, altissimo tempio a strapiombo sulle case, lo stadio Diego Armando Maradona (si chiama così dal 2004), che dal 1940 era l’Estadio Argentinos Juniors, è invece un impianto vecchio stile, molto più modesto. Un rettangolo di cemento con un lungo muro che lo avvolge sui quattro lati, ricoperti di murales. Lì sopra hanno dipinto la storia dei bichos colorados, gli “insetti rossi”, e di quella storia Diego ha una parte centrale. Qui arrivò bambino e vi rimase dal 1976 – l’anno del debutto in prima squadra, anche se lui apparteneva al vivaio dal 1970 – fino al 1981, quando l’Argentinos Juniors lo cedette al Boca Juniors che però non aveva un soldo. «Volevo il Boca a ogni costo, non il River Plate che rappresentava i ricchi.»

Il taxi si ferma a Boyacá, la via che scende da calle Punta Arenas e che tra poco diventerà avenida Diego Armando Maradona, anche se non sono trascorsi i canonici dieci anni necessari perché un illustre defunto si trasformi in una strada o in una piazza. La proposta, in realtà un plebiscito, è già sul tavolo della municipalità di Buenos Aires che nel frattempo ha accettato che si intitolasse un’altra via ai genitori di Diego, con tanto di cerimonia ufficiale. «Togliamo l’obelisco e mettiamo una statua di Maradona!» ha detto un tifoso del Boca il giorno della veglia funebre. Sarebbe come proporre ai parigini di smontare la Tour Eiffel.

Diego bambino arrivò qui in pullman, e fu una corsa di sola andata. Non servì troppa fantasia a Francisco Cornejo, il suo primo allenatore, per capire che incredibile talento gli fosse capitato tra le mani. «Ho scoperto un capolavoro!» disse Cornejo prima di morire a 76 anni, nel 2008, quando al ragazzino pieno di capelli era già accaduto tutto, nel bene e nel male. Francisco Cornejo era il responsabile di quello che a Buenos Aires chiamano el Semillero, vale a dire “il semenzaio”, uno dei vivai calcistici più produttivi dell’intera Argentina. Perché la maglia rossa con la banda trasversale bianca l’hanno indossata, oltre a Diego, bambini che si chiamavano Batistuta, Borghi, Batista, Pasculli, Redondo, Riquelme, Cambiasso. Quello che un tempo accadeva al Torino, e in effetti lo stadio dell’Argentinos Juniors un poco ricorda il vecchio Filadelfia per la collocazione e l’anima popolare, nel centro esatto di un borgo che per lui viveva.

Qui Diego era una delle cebollitas, le “cipolline”, in quella formazione erano quasi tutti piccoli e irrefrenabili. Quando esordì in prima squadra, fino a quel giorno il più giovane calciatore di tutta la storia del calcio argentino (il record glielo avrebbe tolto il suo futuro genero Agüero), dai tablones in legno dello stadio scesero sguardi destinati a non spegnersi mai più, prima nella visione diretta di una meraviglia e poi nel ricordo. Perché gli anni giovanili di Maradona sono stati i più sensazionali e liberi, lui non ancora prigioniero



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