Racconti di New York by Maeve Brennan

Racconti di New York by Maeve Brennan

autore:Maeve Brennan
La lingua: ita
Format: mobi, epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2010-09-14T16:00:00+00:00


Il ballo della servitù

Il sabato mattina Charles Runyon si svegliò in preda a un’allegria entusiasta. Quel giorno, quella sera, quel weekend, promettevano, anzi, garantivano, un trionfo così completo, privato ma anche pubblico, da rappresentare sicuramente, Charles se lo sentiva, una delle piattaforme che avevano contrassegnato il suo progresso nella vita, ciascuna innalzandolo più in alto, per permettergli di esaminare meglio il mondo e le donne e gli uomini che lo abitavano. Il mio palcoscenico e i miei attori, si ripeté; la mia arena. Charles era un gentiluomo di lettere il cui principale interesse era il teatro. Abitava da solo in una stanza singola di un vecchio e celebre albergo nel quartiere di Murray Hill. Non riceveva mai, non essendo attrezzato per farlo, così spiegava ridendo, ma usciva moltissimo e aveva la fama, vaga ma ben consolidata, di uomo brillante ed epigrammatico. Trascorreva i suoi weekend a Herbert’s Retreat, a cinquanta chilometri da New York, sulla riva orientale dell’Hudson, e sempre da Leona Harkey, dove aveva una camera tutta per sé.

Ora, disteso nel suo stretto letto a baldacchino, stiracchiò le braccine asciutte e il lungo collo nervoso e sbadigliò. Poi scese dal letto, ciabattò fino alla scrivania e prese un grosso taccuino in cui, la notte prima, come sempre, aveva annotato le sue impressioni della serata. Gli era piaciuto molto scrivere quelle note. Erano abbondanti, e sarebbero rimaste memorabili. Edward Tarnac, il vecchio nemico di Charles, l’unico membro di quella comunità rivierasca che gli era riuscito antipatico, era tornato al Retreat dopo cinque anni di assenza, completamente rovinato. Rovinato a trentotto anni, pensò Charles, considerando con tenerezza che lui ne aveva cinquantaquattro e la rovina non l’aveva mai nemmeno sfiorato.

Aprì le tende. Il prato di Leona partiva subito sotto la finestra e si inclinava dolcemente fino alla riva del fiume, a circa duecento metri di distanza. Era una vista stupenda, la giornata era soleggiata, lo aspettavano momenti gloriosi ed erano solo le dieci del mattino. Charles suonò per il suo café au lait e si sedette sulla grossa poltrona rivestita di chintz che Leona aveva accuratamente piazzato accanto alla finestra. Non troppo vicino però, in modo che dal giardino non fosse possibile vedere Charles nell’atto di pensare o leggere. Aveva ancora in mano il taccuino e rilesse qualche frase qua e là.

Bridie (a Charles piaceva chiamarla «la splendida irlandese di Leona») entrò pesantemente con il vassoio. Lo sguardo di puro odio che ne caratterizzava l’espressione calò con tutta la sua forza sulla testa grigia e morbida di Charles, che però restò indifferente; la donna, in silenzio, gli porse rispettosamente il succo d’arancia, gli versò il caffè e il latte caldo (con-tem-po-ra-nea-men-te, si ripeté lei, caffè e latte con-tem-po-ra-nea-men-te) e uscì.

Sorseggiando il caffè, Charles iniziò a rileggere le sue annotazioni, ma poco dopo mise da parte tazza e taccuino e si rilassò sulla poltrona, per assaporare non la dolcezza del suo attuale trionfo, perché, dopo tutto, ormai l’aveva raggiunto, ma l’amarezza della sua lunga e amata faida con Edward Tarnac. Quella faida gli era parzialmente incomprensibile, e questo ne intensificava l’effetto.



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