Recycled cinema by Marco Bertozzi

Recycled cinema by Marco Bertozzi

autore:Marco Bertozzi [Bertozzi, Marco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Marsilio
pubblicato: 2013-12-14T21:00:00+00:00


FOOTAGE GRAND TOUR

Oltre all’importanza dei festival – e ai citati casi della Marazzi e di Quadri, di Canecapovolto e di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi – qual è il ruolo delle istituzioni pubbliche, in primis Rai e Istituto Luce/Cinecittà, nel costruire originali sguardi d’archivio? E il riuso di immagini del passato contribuisce ad aumentare la consapevolezza pubblica dei dispositivi mediali, degli effetti emotivi e cognitivi sullo spettatore, delle possibilità poetiche al di là delle “naturali” missioni pedagogiche? L’impressione è che i tentativi attuati in questo senso vengano poi scarsamente promossi: come se le istituzioni producessero alcuni programmi “sperimentali”, o d’“autore”, ma già nella consapevolezza di una futura, scarsa diffusione. Quasi si aspettassero il fallimento di questi film, in un mercato del vedere dominato dagli indici d’ascolto. E tanto valesse limitarne subito la visione. Il problema è di politica culturale, di scelte strategiche che privilegiano la più vendibile linea storico-contenutista, laddove proprio queste istituzioni pubbliche dovrebbero garantire luoghi di sperimentazione e di ricerca sul visibile.

Ricordo alcuni tentativi attuati dalla Rai attraverso Alfabeto italiano (1998), una serie di film di montaggio realizzati, fra gli altri, da Giuseppe Bertolucci (In cerca della poesia: tracce e indizi) e da Silvio Soldini e Giorgio Garini (Case, cose, città)16. O, recentemente, opere quali Come mio padre (Stefano Mordini, 2009) e 1960 (Gabriele Salvatores, 2010). Il film di Salvatores utilizza materiali d’archivio Rai per “ospitare” una storia ambientata nel 1960. Le immagini di cinegiornali e documentari di quel periodo accolgono e contestualizzano il racconto sceneggiato. È su quest’ultimo livello che si situa l’invenzione del film, laddove la struttura narrativa finzionale – un bambino che parte da un paesino del Sud Italia per andare a trovare il fratello a Milano – adotta come moltiplicatore di “credenza” sequenze documentarie del periodo. L’incastro è seducente e a volte siamo portati a riconoscere il volto del nostro eroe bambino in alcuni attori sociali dei film di repertorio.

Grazie alla recente moltiplicazione dei canali digitali, molto interessanti sono anche i tentativi attuati in Rai di riciclare materiali televisivi del passato. L’immissione diretta di sessant’anni di immagini e suoni procura più sbandamenti di molti programmi infiocchettati, in cui la voice over o il giornalista privilegiano l’afflato didattico contenutistico. La stessa cosa accade al Luce, dove gli importanti materiali custoditi sono ormai accessibili direttamente da Google. Una ubriacatura di cinegiornali e documentari sull’Italia e sul mondo che, al di là dei temi affrontati, illustra il gigantesco tentativo di mettere in forma il visibile attraverso precise messe in pagina e modalità stereotipate della visione. Recentemente anche il Luce ha cercato di offrire uno sguardo diverso verso l’archivio, avviando politiche culturali di apertura verso filmmaker in grado di eseguire rielaborazioni originali. Pur nella loro differenza, opere come Ma che storia! (Gianfranco Pannone, 2010), Inconscio italiano (Luca Guadagnino, 2011), Terramatta (Costanza Quatriglio, 2012) ben testimoniano il tentativo in atto. Se alcune opere hanno meritato riconoscimenti proprio per il lavoro sugli archivi17, in generale resta difficile staccarsi dall’idea di compilation film. A volte sono le stesse modalità



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