Rumelia. Verso la Grecia del Nord by Patrick Leigh Fermor

Rumelia. Verso la Grecia del Nord by Patrick Leigh Fermor

autore:Patrick Leigh Fermor [Fermor, Patrick Leigh]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 2021-07-07T22:00:00+00:00


Ma non vivevamo sempre nel buio di quelle spelonche. Al disgelo spostavamo i nostri accampamenti provvisori su cenge di roccia, fra cedri contorti dal vento, o su selle alte e solitarie, invisibili a tutti tranne a pochi pastori iniziati. Lasciavamo i tetti delle capanne o le volte delle grotte per una immensa processione di stelle, che ci pareva di toccare, o una luna piena così brillante che si distinguevano i colori del mare, delle montagne, degli alberi, degli spini e dei volti dei nostri compagni: sembravano riproduzioni in toni più scuri delle rispettive versioni diurne. Le valli, le colline e le catene montuose di rimpetto luccicavano come se fossero fatte di lamiera sagomata in forme angolose a colpi di martello. Chiudevi gli occhi, li riaprivi e mettendo a fuoco ora ti sembravano vicine, ora si scambiavano di posto, ora si volatilizzavano in un universo fluttuante e privo di consistenza, in cui solo le ombre sembravano solide: ombre che si lanciavano sui fianchi delle montagne come immense punte di lancia, zigzagavano giù per i dirupi e si ramificavano come fulmini cristallizzati seguendo i letti dei torrenti; faglie rocciose, indistinguibili di giorno, formavano pendii striati; gli abissi fra le pareti strapiombanti sembravano ergersi come neri obelischi; crepacci rastremati si rizzavano in piramidi illusorie: convessità e concavità si scambiavano i ruoli. E più vicino, le ombre proiettate da fessure, grotte, rami, sopracciglia, canne di fucile, foderi di pugnale si trasformavano, sotto quei raggi irreali, in figure geometriche: barre, parallelogrammi, triangoli, rombi e poligoni di tenebra. In quello scenario cubista, ogni macchia di aloe e cactus si innalzava come un vortice silenzioso.

Ho ricordi così precisi della vita di notte perché per lungo tempo solo in quelle ore potevamo muoverci lungo l’isola. La notte era per noi come il giorno. «Guardate!» diceva un cretese mentre dietro lo schermo delle colline appariva l’orlo superiore della luna. «Il nostro sole sta sorgendo. È ora di metterci in marcia!»; e così cominciava un altro itinerario notturno. A volte avevamo una carovana di muli, carichi di armi ed esplosivi piovuti dal cielo o sbarcati in una cala isolata; altre volte raggiungevamo un altipiano e accendevamo cinque falò a formare un quinconce: ed ecco i tonfi dei rifornimenti che atterravano tutt’intorno; a meno che, naturalmente, un errore di calcolo, un cambio di vento, o una perdita d’orientamento del pilota li facesse finire in territorio nemico. Ma più spesso marciavamo da soli, con un unico compagno. Come cavernicoli finalmente liberati, potevamo lasciare le montagne per partecipare a un lontano raduno di guerriglieri, scendendo fino alle pendici fra vigneti e baluginanti scalinate di ulivi. I borghi che attraversavamo furtivamente e con il grilletto pronto erano silenziosi e irreali come finti villaggi di neve e d’avorio. Passavamo in punta di piedi sotto gli archi e lungo le viuzze che si increspavano intorno agli angoli in un ventaglio di gradini che parevano di carta. A volte ci fermavamo circospetti davanti alle persiane della casa di un amico, e dopo essere entrati un momento per scambiare qualche parola sussurrando, proseguivamo il cammino.



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