Sei scettico? by Antonio Sgobba

Sei scettico? by Antonio Sgobba

autore:Antonio Sgobba [Sgobba, Antonio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2023-08-30T12:00:00+00:00


Senza via d’uscita.

«Avevo sofferto di quella che i greci chiamavano aporia: una confusione paralizzante, l’impossibilità di trovare una via d’uscita da un problema. Il significato letterale di aporia è “mancanza di un sentiero”, “nessuna via”. All’epoca ero incapace di uscire dal mio appartamento; incapace di pensare a un nuovo progetto. Ero, secondo il modo di pensare dei greci, senza un sentiero – l’espressione, si dà il caso, usata nell’Odissea per descrivere il mare, il terrificante spazio vuoto a cui Odisseo deve sottrarsi, in senso sia letterale sia figurato, per ritrovare la propria identità e la via di casa». Lo scrittore Daniel Mendelsohn, nel suo libro del 2020 Tre anelli, la descrive cosí. Mendelsohn è un grecista e sa di che cosa parla: a-poria, cioè assenza di poros o poreia, una «strada», un «sentiero appunto». Ci si può trovare in aporia anche in mare aperto, come Odisseo, come i compagni di viaggio di Pirrone nella tempesta. Gli scettici da Enesidemo in poi si definiscono aporetici ma la parola «aporia» ha una tradizione precedente. Come si è visto, inizia almeno da Omero e in filosofia aveva avuto un ruolo importante già con Eraclito, Socrate, Platone, Aristotele. Nel frammento 18 di Eraclito il termine mantiene il suo significato originario, fa pensare a una strada chiusa, non attraversabile: «se non spera non troverà l’insperato. Ne è difficile la ricerca e ardua la via (aporon)». L’uso piú propriamente filosofico forse ha inizio con Socrate; del resto era una delle sue attività preferite: mettere in una situazione aporetica i suoi interlocutori, porli di fronte alle contraddizioni delle loro stesse convinzioni. Per questo i dialoghi socratici di Platone sono detti «aporetici», si concludono tutti con la constatazione di un fallimento. Nel Lachete, per esempio, dove si tenta di rispondere alla domanda «Che cos’è il coraggio?», ci si trova «colpiti dalla tempesta dei discorsi e in aporia», chi è in quello stato è facile che per reazione «si rigiri in su e in giú, occultando la sua aporia» (194c e 196b). Un capovolgimento che ci fa perdere l’orientamento insomma; nei dialoghi della maturità il Socrate di Platone lo paragona a un intorpidimento: «Se la torpedine fa intorpidire gli altri perché torpida essa stessa, io allora le somiglio», dice Socrate nel Menone (79e-80d). Nel dialogo in cui si cerca la definizione di «conoscenza», il Teeteto, l’aporia è un tormento paragonato al travaglio delle partorienti, e Socrate è la levatrice. Nella Repubblica è il dolore provato dai prigionieri della caverna appena liberati: «Considera […] cosa dovrà loro accadere se vengano sciolti e guariti da quella loro ignoranza. Se uno di essi fosse sciolto, costretto di colpo ad alzarsi, a girare il collo, a camminare, a guardare verso la luce; se, facendo tutti questi movimenti, soffrisse ed il barbaglio gli impedisse di vedere quelle cose di cui prima scorgeva le ombre […] Non credi che si troverebbe in gran dubbio?» (I, 7, 515c-d). Possiamo pensare che in un certo senso tutta la filosofia platonica sia il frutto delle aporie socratiche; questo



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