Spagna by Edmondo De Amicis

Spagna by Edmondo De Amicis

autore:Edmondo De Amicis [De Amicis, Edmondo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Spain -- Description and travel
pubblicato: 2009-12-06T16:00:00+00:00


* * *

VI.

ARANJUEZ.

Come arrivando per la via del settentrione, così partendo da Madrid per la via del mezzogiorno, si percorre una campagna disabitata che rammenta le provincie più povere dell'Aragona e della Vecchia Castiglia. Son vaste pianure giallastre e secche, nelle quali par che il terreno, a picchiarci su, debba risuonare come un uscio, o screpolarsi come la crosta d'una torta abbrustolita; e pochi villaggi meschini, dello stesso colore del suolo, che pare dovrebbero accendersi come un mucchio di foglie inaridite, solo ad avvicinare un fiammifero allo spigolo d'una casa. Dopo un'ora di strada, la mia spalla cercò la parete del carrozzone, il mio gomito cercò un sostegno, la mia testa cercò la mano, e caddi in un profondo sopore, come un membro dell'Ateneo d'ascoltazione di Giacomo Leopardi. Pochi minuti dopo che avevo chiuso gli occhi, fui riscosso da un disperato gridío di donne e di ragazzi, e balzai in piedi chiedendo ai vicini che cosa fosse seguito. Ma prima che avessi finito la domanda, una risata generale mi rassicurò. Un drappello di cacciatori sparsi per la campagna, vedendo arrivare il treno, s'eran messi d'accordo per far un po' di paura ai viaggiatori. In quei giorni si parlava della comparsa d'una banda di Carlisti nelle vicinanze di Aranjuez: i cacciatori, fingendo d'essere l'avantiguardia della banda, mentre passava il treno, avevan gettato alte grida come per avvertire il grosso degli armati che accorressero, e gridando, avevan fatto l'atto di sparare contro i carrozzoni; onde lo spavento e le grida della gente; e poi avevan tutt'a un tratto voltato i fucili col calcio in aria, per far vedere che l'era stata una burla. Passata la tremerella, chè n'ebbi per un momento un pochino anch'io, ricaddi nel mio sopore accademico; ma ne fui scosso daccapo, di là a pochi minuti, in una maniera assai più gradevole che la prima volta.

Guardai intorno: la vasta campagna deserta s'era trasformata come per incanto, in un immenso giardino pieno di boschetti leggiadrissimi, percorso in tutti i sensi da larghi viali, sparso di casine campestri e di capanni fasciati di verzura; e qua e là zampilli di fontane, e recessi ombrosi, e prati fioriti, e vigneti, e sentierini, e un verde, un fresco, un odor di primavera, un'aura di letizia e di piacere, da imparadisare l'anima. Eravamo arrivati a Aranjuez. Discesi dal treno, infilai un bel viale ombreggiato da due file di alberi giganteschi, e mi trovai dopo pochi passi in faccia al palazzo reale.

Il ministro Castelar scrisse pochi giorni sono nel suo memorandum che la caduta dell'antica monarchia spagnuola fu predestinata il giorno che una turba di popolo colle ingiurie sulle labbra e l'ira nel cuore invase il palazzo d'Aranjuez per turbare la tranquilla maestà dei suoi Sovrani. Io ero appunto su quella piazza dove il 17 marzo del 1808 seguirono gli avvenimenti che furono il prologo della guerra nazionale, e come la prima parola della sentenza che condannò a morte l'antica Monarchia. Cercai subito cogli occhi le finestre dell'appartamento del Principe della Pace; me lo raffigurai



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