Specchi di guerra by Oliviero Bergamini

Specchi di guerra by Oliviero Bergamini

autore:Oliviero Bergamini [Bergamini, O.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: eBook Laterza
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2009-11-14T16:00:00+00:00


4. La guerra nel salotto di casa

Più ancora che i giornali, il «mito» del Vietnam riguarda la televisione. Quella del Sud-Est asiatico fu infatti la prima «guerra televisiva» della storia. Negli anni ’60 la televisione si diffuse capillarmente nelle case degli americani (e non solo). Nello stesso periodo perfezionamenti nei mezzi di ripresa e nelle pratiche produttive (cineprese con pellicola a 16 mm e microfoni più leggeri e resistenti, metodi di sviluppo e montaggio più efficienti e rapidi, trasporti aerei del materiale girato che consentivano la messa in onda nel giro di 48 ore) ampliarono decisamente le potenzialità del giornalismo televisivo, ponendolo in grado di documentare eventi bellici lontani e difficili come quello vietnamita. La televisione poté così davvero portare la guerra «nel salotto degli americani», come si usa dire con espressione forse abusata, ma che resta pregnante. E questo produsse effetti di un’intensità che oggi è difficile da comprendere appieno.

A raccontare il Vietnam fu la televisione analogica «generalista» tradizionale, il mass media per eccellenza, che si trovava in quegli anni nella sua prima grande stagione, suggellata dal 1965 in poi dal passaggio graduale al colore. In quegli anni esistevano solo tre grandi network nazionali (Abc, Nbc, Cbs): i loro notiziari serali (prolungati proprio in quel periodo da 15 a 30 minuti), seguiti alla stessa ora da decine di milioni di persone, condotti da anchormen conosciutissimi e stimati erano un vero e proprio rito collettivo; costituivano una fonte di informazione pervasiva e al tempo stesso «concentrata», che poteva esercitare un’influenza potente sull’opinione pubblica nazionale.

Per gran parte degli anni ’60 la televisione condivise con la carta stampata un atteggiamento sostanzialmente positivo nei confronti del conflitto. Secondo i dati raccolti da Daniel Hallin, solo il 22% dei servizi televisivi di quegli anni mostrava sangue, morti, feriti; e spesso si tratta solo di immagini brevi e fuggevoli. Dalla fine del decennio, tuttavia, anche la televisione assunse un approccio più critico rispetto alla guerra. Un primo cruciale episodio fu proprio la già citata offensiva del Tet. Sui televisori delle loro case gli americani poterono vedere le immagini drammatiche dell’ambasciata statunitense occupata da guerriglieri vietcong, le cui sagome si distinguevano nell’edificio. Poterono assistere alle sparatorie per riconquistarne il controllo. Poterono osservare i cadaveri degli assalitori nel giardino. E poterono verificare la difficoltà con cui i diplomatici cercavano di spiegare come un nemico che ufficialmente doveva essere vicino alla disfatta avesse potuto colpire nel cuore di Saigon. Militarmente l’offensiva del Tet fu un disastro per il fronte comunista – tutti gli attacchi vennero respinti con gravi perdite – ma mediaticamente fu un successo enorme. Il pubblico americano si risvegliò di colpo alla realtà di un conflitto che era ben lungi dall’essere nelle sue fasi finali, e che avrebbe certamente richiesto ancora anni di sacrifici e reclamato le vite di altre migliaia di «ragazzi». Fu allora che il popolarissimo anchorman Walter Cronkite cominciò a esprimere dubbi espliciti sulla possibilità di vincere la guerra, giungendo a dire nel seguitissimo telegiornale serale: «L’unico modo razionale per uscirne sarà negoziare,



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