Stazione omicidi. Vittima numero 3 (Italian Edition) by Massimo Lugli

Stazione omicidi. Vittima numero 3 (Italian Edition) by Massimo Lugli

autore:Massimo Lugli [Lugli, Massimo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Thrillers, General, Fiction
ISBN: 9788854194434
Google: yoWpDAAAQBAJ
Amazon: B01ICFLBCA
editore: Newton Compton editori
pubblicato: 2016-08-25T00:00:00+00:00


«Il tuo amichetto s’è fatto addobbare».

Mariano si stringe nelle spalle, simulando indifferenza, ma il sarcasmo di Milo gli pesa. Sottotitolo: mai che ne combinassi una giusta, figlio debosciato.

«Be’, intanto ha fatto secco il ciccione», replica come a giustificarsi. In realtà, la morte di Scheggia non gli dispiace: era un amico e tutto il resto, ma almeno, in questo modo, non dovrà più preoccuparsi del debito con lo strozzino che, sicuramente, prima o poi avrebbe voluto riscuotere.

«…E c’è rimasto stecchito», puntualizza Mustata come se ce ne fosse bisogno.

«Vero. Ma intanto gli Zozzi hanno incassato. E non sapranno mai che siamo stati noi».

«Comunque c’è qualcosa che non mi torna…», riflette Milo. «Hai letto il giornale? Er Bava aveva appena fatto un colpo, roba grossa. Mi domando se Scheggia lo sapeva…».

«Boh… E che ci frega? È crepato e basta», taglia corto Mariano, di pessimo umore. Fa un caldo spaventoso, zaffate di immondizia putrefatta si levano dal campo di via di Salone, i pochi khorakhanè in giro hanno tutti un’aria stralunata e sofferente e dal corpaccione sudato di suo padre, che continua a tracannare birra come un cammello, si levano effluvi da far concorrenza a una discarica. Quello che gli ci vorrebbe sarebbe la sua brava colazione dei campioni: una bella pista e magari una vodka ghiacciata.

«Mi chiedevo se… il tuo amico era più furbo di quello che credevamo», insinua Milo con un’occhiata strana al figlio minore.

«Cioè?»

«Sei proprio de coccio. O fai finta. Come niente, Scheggia sapeva del botto alle poste e aveva programmato di accoppare er Bava e tenersi i soldi. Pensaci bene: due piccioni con una fava. Si becca il gruzzolo e, al tempo stesso, diventa un nostro alleato e in questo modo ha il culo protetto. Se non si fosse fatto accoppare come un coglione, gli Zozzi avrebbero pensato di sicuro che eravamo stati noi a fare il servizio al ciccione… E lui se ne sarebbe stato tranquillo e sicuro a godersi i soldi. Oltre duecentomila, pare…».

Altra occhiata obliqua. Mariano si sente gelare nonostante l’afa: ha capito benissimo dove vuole andare a parare il padre e non gli piace per niente.

«Che vuoi dire? Non ti capisco…», esita.

«Be’, mi sembra strano che non ti abbia detto niente, visto che eravate così pappa e ciccia… Tu dove cazzo stavi, quando è successo il casino?»

«Io… In giro, qui intorno…», balbetta Mariano.

«In giro eh? Io non ti ho visto: e mi viene in mente che magari eri d’accordo con Scheggia. Come niente sei stato tu a sparargli, dopo che aveva steso er Bava e poi ti sei preso i duecentomila». Milo pianta un’occhiata da pubblico ministero in faccia al figlio che barcolla. L’accusa è da pena capitale: nessuno lavora da solo, nel clan. Niente iniziative personali: tutto si decide e si spartisce in base alla ferrea gerarchia dei khorakhanè. Chi tenta di fare il furbo la paga col sangue.

«Ah papà, ma che ti sei rincoglionito? Non l’hai letto il giornale? Quelli si sono ammazzati tra loro», risponde Mariano, con voce stridula dalla paura. Se Mustata non fosse suo padre, probabilmente, sarebbe già in un mare di letame.



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