Storia del Concilio di Trento e altri scritti by Pietro Sforza Pallavicino

Storia del Concilio di Trento e altri scritti by Pietro Sforza Pallavicino

autore:Pietro Sforza Pallavicino [Pallavicino, Pietro Sforza]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
editore: UTET
pubblicato: 2012-12-31T23:00:00+00:00


CAPO DECIMOQUINTO. — Ottava sessione, nella quale si determina di portare il Concilio a Bologna.

S’intimò dunque la sessione per la futura mattina degli undici, e fra tanto i legati dieder ordine che il Severolo, come promotor del Concilio, formasse processo autentico intorno alla verità del mal contagioso e dell’infezione imminente11. Raunatisi la mattina in duomo con gli abiti pontificali, dopo le solenni cerimonie e preghiere, il primo legato ricordò in breve ciò ch’erasi ragionato ne’ due precedenti giorni, e specialmente riconfermò l’indifferenza sua e del suo collega a rimanere o no, secondo che alla maggior parte fosse più in grado. Indi, per informazione più piena, anche ad istanza del cardinal Pacecco furono lette e le fedi de’ medici e non pur i detti, ma le interrogazioni de’ testimoni, i quali erano molti e di varie sorti, regolari, preti, secolari, forestieri, paesani. Le testimonianze loro contenevano insomma che da qualche tempo avanti era sorto in quella città un mal di febri pestilenziali con patecchie, cioè, come il Fracastoro12 esplicava secondo la diffinizion di Galeno, di febri insieme contagiose e il più delle volte mortali; che di questa infermità molti continuamente perdean la vita, onde alla parrocchia di santa Maria Maggiore venivano ciascun giorno due, tre e quattro cadaveri, e proporzianatamente all’altre parrocchie; né minore udirsi la mortalità nel contado per la stessa malattia; di questa credersi periti il Vescovo di Capaccio, il general de’ minori osservanti, un famigliare del cardinal Madruccio e lo scalco del legato Cervino; se di tali febri alcuno scampava, rimaner come stolido e scemo, secondo ch’era avvenuto ad un famigliare del Vescovo di Saluzzo. Questo malore ogni dì più dilatarsi, ed allora starne aggravato uno de’ maestri delle cerimonie; e morirne in maggior numero che per addietro; i medici del paese aver perduta l’arte e l’ardire, e schifar essi la cura di tali infermi; temersi che al riscaldare della stagione il male imperversasse in una vera pestilenza; al primo sospetto di questa essersi per interdire in tutto il contorno la comunicazione degli uomini e per conseguente il traffico e la provvision delle vittuaglie; nel qual caso, fra la sterilità di que’ monti, farebbe stragi eguali al malore la stessa fame. Il Fracastoro, in riconoscere davanti al notaio la fede innanzi da lui scritta privitamente, vi aveva aggiunte così fatte parole: Io giuro sopra queste lettere che, quantunque altri mi donasse cento scudi al giorno, non istarei più un mese in Trento; e chi ci starà se ne pentirà. Si consideri se questo tenor di parlare in quell’uomo sì riputato fosse, come avvisa il Soave13, una usanza de’ medici che voglion dar pregio all’arte loro con aggrandire la malattia che hanno a curare.

Fatto ciò il cardinal del Monte propose il decreto di trasportar il Concilio a Bologna, conceputo nella forma ch’era piaciuta alle più sentenze nella prossima congregazione; e fu tale appunto: vi piace di determinare e dichiarare che per le ragioni recate e per altre questa malattia sia così manifesta e notoria, che i prelati non possano



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