Storia dell’antipolitica dall’unità a oggi by Sconosciuto

autore:Sconosciuto [Sconosciuto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia politica
editore: Rubbettino Editore
pubblicato: 2021-03-15T23:00:00+00:00

Nostalgia del partito unico

L’antipolitica di stampo qualunquista resta senza voce. Non per questo si assiste al suo deperimento. Il «partito italiano dei malcontenti» resta «il Partito più forte, più numeroso, più agguerrito ed autorevole – per quanto non organizzato» – osservava acutamente nel 1944 un anonimo critico della nascente “democrazia dei partiti”28. Il fiume carsico dello scontento semplicemente si inabissa e con ciò, in qualche modo, si salvaguarda. Mancherà per tutto un cinquantennio un imprenditore politico capace di dare voce alla “maggioranza silenziosa” e, ancor più, di rappresentarla in modo autonomo. In compenso, il dominio incontrastato della vita pubblica esercitato dai partiti del cosiddetto “arco costituzionale”, nemici in politica ma solidali nella difesa dell’ordine istituzionale disegnato dalla Carta, provvederà per contrasto ad alimentarla.

A tenere, comunque, «l’Italia che non ci sta» relegata in una sorta di ghetto concorrono molti fattori. Anzitutto, il pregiudizio incapacitante nei confronti di un impegno politico diretto che le inibisce una discesa in campo. In secondo luogo, il ricatto che subisce di dover a tutti i costi premiare la Dc, l’unica forza in grado di reggere l’urto della sinistra. Da ultimo, l’impraticabilità di uno spazio a destra del partito democratico-cristiano che le preclude di esercitare a pieno la sua influenza sul terreno elettorale.

Nel campo altrove riservato ai conservatori, in Italia dominano i nostalgici del regime sconfitto (il Movimento sociale italiano) e della monarchia caduta (organizzati all’inizio nel Partito nazionale monarchico e nel Partito monarchico popolare, poi dal 1959 unificatisi nel Partito democratico italiano di unità monarchica): i primi molto attivi ma anche molto marginali, i secondi sempre più sfibrati nelle forze e sterili nelle proposte. L’equazione destra uguale fascismo si è fissata così saldamente nell’immaginario politico della Repubblica che «qualsiasi indirizzo od istituto che si diversifichi decisamente» dall’orientamento predominante nei partiti dell’arco costituzionale finisce per essere tacitato – lamentano quanti a quel serbatoio elettorale amerebbero attingere – come “fascismo camuffato” o per esplicita “reazione”. Col risultato che il ruolo, svolto altrove da partiti liberali o conservatori, in Italia è appannaggio dei nostalgici.

Questo non toglie che il Movimento sociale italiano o i monarchici in diverse occasioni e in molte regioni (soprattutto del Meridione) siano premiati da un voto per metà di protesta e per metà antipolitico, proprio in forza della battaglia solitaria condotta contro la “partitocrazia”. Non riescono, però, a costituire mai una seria minaccia al predominio dei partiti uniti dal vincolo della discriminante antifascista. L’insediamento di missini e monarchici è in continua erosione. Li penalizzano soprattutto due fattori. Primo: l’irrilevanza politica, figlia della conventio ad excludendum che li ostracizza dall’area di governo. Secondo: il prorompente processo di modernizzazione in atto a partire dagli anni Cinquanta che, per quanto fonte di squilibri e di tensioni presto divenute dirompenti, contribuisce nel frattempo a sovvertire le basi stesse di quella società tradizionale su cui hanno allignato forme di rappresentanza politica di natura notabilare e clientelare.

Oltre al bando che condanna la destra alla marginalità politica, a deprimere il suo appeal elettorale presso i settori antipolitici dell’opinione pubblica concorre anche il grave handicap rappresentato da un’offerta politica assai ambigua.

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