Storia delle merende infami by Nino Filastò

Storia delle merende infami by Nino Filastò

autore:Nino Filastò
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Saggistica
editore: Maschietto Editore
pubblicato: 2004-12-31T16:00:00+00:00


CAPITOLO NONO

NUOVE OSSERVAZIONI SULLE CONFESSIONI (DI LOTTI E DI PUCCI).

I DELITTI DEGLI SCOPETI.

SABRINA CARMIGNANI E LA SCIENZA ENTOMOLOGICA APPLICATA ALLA TANATOCRONOLOGIA FORENSE.

LA STORIA DELLA MACCHINA ROSSA.

LE FALSITÀ DI PUCCI E DI LOTTI.

L’ULTIMO AGGIUSTAMENTO DI PUCCI

A questo punto, mi pare di udire una voce, in cui all’intonazione ironica si unisce il timbro autoritario: “Le sue sono speculazioni soltanto teoriche. Lei, caro signore, non tiene conto che nel processo ai ‘compagni di merende’ esiste la confessione di Giancarlo Lotti, suffragata, ove ce ne fosse bisogno, dalle dichiarazioni di un testimone: Fernando Pucci, e da numerosi altri riscontri oggettivi”.

Ho già parlato del valore probatorio della confessione, che non può essere in nessun caso assoluto. Non sarà male aggiungere qualche nota sul metodo non ‘sacramentale’ – il nostro è un processo fatto da laici – bensì ‘inquisitoriale’ applicato nel caso. Nonostante la laicità, l’ispirazione centrale è ancora quella suggerita dalla Chiesa{1}.

In un saggio pubblicato in un volume dedicato alla prassi confessionale si sottolinea che, nel condurre l’interrogatorio del penitente, il confessore-sacerdote-funzionario si serve di una griglia a priori, sulla base della quale arriva a una sistematizzazione sempre più serrata della confessione sacramentale: “al punto che il questionario sembra acquistare il potere, non più soltanto di individuare, ma di costituire, nel senso forte del termine, le colpe del penitente”{2}.

Ascolto di nuovo la voce che accentua il tono dialettico: “Citazioni storiche per fare sfoggio di erudizione, pour épater le bourgeois: qui siamo negli anni di grazia 1995 e seguenti, caro signore! Che c’entra tutto questo con la nostra indagine?” D’accordo, raccolgo la sfida.

Il passo di cui sopra – e quelli contenuti nella nota – odorosi d’incenso e di paramenti conservati in vecchi armadi di sacrestia, mettono in luce il passaggio della confessione da atto intimo vetero-cristiano di contrizione sacramentale ad atto inquisitoriale giudiziario. E questo all’interno della pratica giudiziaria della Chiesa, che più sopra abbiamo visto trasferirsi armi e bagagli nella pratica penale delle città e degli stati italiani e in certa misura europei, attraverso gli ordinamenti del cosiddetto ‘diritto comune’.

I pilastri su cui si fonda questa pratica, sono l’interrogazione del penitente, l’ordine delle questioni che gli sono sottoposte, la griglia logica o pseudo logica, in ogni caso metafisica e preconcettuale, costituente quest’ordine. L’indagine, impostata dal funzionario-confessore-inquisitore dovrà riempire ogni silenzio del penitente. Il questionario finisce per costituire, con le risposte ottenute con le buone o con le cattive (tortura compresa, ma modernamente si sostituiscono le sofferenze del corpo con la più asettica carcerazione preventiva), le colpe del ‘reo’. Un procedimento che in sintesi non aiuta la spontaneità della confessione: anzi, la esclude in quanto connotazione soggettiva dell’atto, e quindi fuorviante rispetto al questionario e alla griglia imposta dall’interrogante.

Osservo il nostro (o meglio i nostri, perché vi includo anche Pucci) episodio confessorio sotto il profilo della spontaneità.

Bisogna sottolineare che gli atti letti e interpretati dal dottor Giuttari sono definiti col termine “oggettivo” (pagina 6 deposizione citata del dottor Giuttari: “…Il risultato di questa attività – la lettura degli atti del processo Pacciani, n.d.r. – mi offriva già in partenza degli spunti interessanti per la ricostruzione oggettiva dei fatti”).



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