Storia di un giudice by Francesco Cascini

Storia di un giudice by Francesco Cascini

autore:Francesco Cascini [Cascini, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Quindici

Dopo qualche mese avevo indagini aperte sulla sanità, su diversi comuni, su diverse società e attività imprenditoriali. Ogni sera prima di andare a casa passavo dalla sala delle intercettazioni e ascoltavo le conversazioni piú rilevanti. Non c’era una volta che non sentissi dialoghi sulla massoneria. Era il fenomeno associativo piú potente, piú esteso, piú capillare, piú organizzato di qualunque altra forma di aggregazione. Uno stato a parte. Con le sue regole, i suoi meccanismi elettivi, i suoi tribunali, i suoi governanti. L’associazione era esclusiva e riservata, ma non poteva considerarsi segreta in senso tecnico e non era possibile individuare obiettivi definibili anche vagamente come eversivi tanto da ipotizzare una rilevanza penale. Neppure era possibile individuarla come strumento utilizzato per la commissione di reati.

Molti massoni erano finiti nelle mie inchieste, ma nessuna delle loro condotte penalmente rilevanti era riconducibile, in un qualche modo, alle attività dell’associazione. In sostanza, dal punto di vista processuale, poteva considerarsi un’organizzazione lecita. Aprire un fascicolo sulla massoneria sarebbe stato un errore, una forzatura inutile.

Si intuiva che il numero dei massoni era altissimo e a ogni conversazione intercettata vedevo il volto tirato delle persone che lavoravano con me. Sapevano che si trattava di un terreno pericoloso, molto piú pericoloso di quello tipico della delinquenza organizzata. «Molto meglio lavorare su un omicidio, dottore» era la frase piú ricorrente. Un omicidio è un fatto compiuto, un’azione che ha una programmazione, una causa, un inizio e una fine. È un fatto umano specifico e come tale ricostruibile processualmente.

Guardavo le facce dei ragazzi che stavano nella sala delle intercettazioni. Volevano sapere da me che significato avesse quella roba. Si aspettavano che gli spiegassi cos’erano le «officine», le «logge», i «maestri venerabili», il «rito scozzese», le «tavole». Credevano che conoscessi le ragioni per cui avvocati, magistrati, politici, medici, farmacisti, giornalisti, funzionari dello Stato, appartenenti alle forze dell’ordine si riunivano regolarmente chiamandosi tra di loro «fratelli». Volevano sapere da me se la ’ndrangheta entrava a far parte di questi organismi e perché. Pensavano che io conoscessi il perché.

A partire dalla metà degli anni Settanta la massoneria divenne lo strumento di integrazione della ’ndrangheta nella società. La mediazione per gli affari, il controllo delle indagini, dell’informazione, il rapporto con la politica. Passava tutto per le stanze di compensazione delle officine e delle logge massoniche. Lo sviluppo di questa tecnica di infiltrazione nella società cresceva con gli anni e passava per le lauree prese all’Università di Messina e la gestione di imprese in apparenza legali. Piú ascoltavo e piú mi rendevo conto che non sarei mai stato in grado di dimostrare nulla. I massoni non avevano nessun bisogno di parlare. La mutua assistenza dei fratelli e le modalità di gestione delle aggregazioni era talmente radicata e strutturata da funzionare in modo automatico, senza neppure la necessità di comunicare.

Un ispettore e otto ragazzi della polizia erano entrati, gradualmente, in una delle indagini piú impegnative. Lavoravano senza sosta, senza straordinari retribuiti, senza orari. Solo per spirito di servizio. Per la fiducia nella possibilità di fare qualcosa di nuovo, di diverso, di utile.



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