Sulla via dorata per Samarcanda by Cecchi Umberto

Sulla via dorata per Samarcanda by Cecchi Umberto

autore:Cecchi, Umberto [Cecchi, Umberto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: archivio ladri di biblioteche
ISBN: 88-8427-014-6
editore: Vallecchi
pubblicato: 2004-12-31T23:00:00+00:00


Gli spiriti inquieti dei morti

vagano lamentando la loro sorte

fra le rovine delle sante città

e divorano con fauci fameliche

i chiari cerbiatti del deserto.

Versa l'acqua sulle mie mani

Per mantenerle bianche e pure.

Certo, Rudaki, al quale tra l'altro hanno intitolato il museo poco lontano da qui, era nato proprio a Penjikent, e quindi queste cose doveva saperle bene: suo era il deserto qui attorno, sue le leggende, sue le superstizioni. E sue le verità di questo mondo di polvere e rocce, di montagne che sembrano spuntare dal nulla e di fiumi che nel nulla spariscono. Proprio come fantasmi.

Finito l'ultimo sorso di tè l'ambasciatore Ferri suggerisce di andare, che il Paese natale di quel magnifico predone che fu Tamerlano ci aspetta. Mentre ci allontaniamo dalle rovine di Penjikent penso alla donna che sente la voce dei morti venir su dai resti della città. E mi viene in mente che qualche volta anch'io, a Firenze, poco prima che l'alba scendesse sulla città, mi sono fermato in piazza del Limbo dove una volta c'era un cimitero dove si seppellivano i bambini non battezzati, ed ascoltavo il loro pianto. Che, basta volerlo sentire, arriva nitido e disperato. Perché dunque, a Penjikent non poteva accadere la stessa cosa?

Una scorciatoia pittoresca, che sembra rimasta esente da ogni influenza russa, passando per Urgut e Kitab ci porta balzelloni attraverso una campagna che varia continuamente ma che conserva i riti delle stagioni e delle tradizioni, fino a Shakhrisab la “Città verde” come la volle ribattezzare il suo figlio più illustre appena salito al potere. Qui di Tamerlano si trova tutto e nulla. Ma si inseguono i sogni rimasti prigionieri nelle pietre sbertucciate dal tempo e dalla furia degli uomini. Nel 1500 l'emiro di Bukhara per dimostrare la sua forza fece radere al suolo l'abitato: era carico di troppi simbolismi e di troppi legami con la storia, e rappresentava il monumento a un potere irripetibile e quindi detestabile. Da cancellare per evitare scomodi confronti. Fu una sorta di Cartago delenda est asiatica, compreso il sale sparso sulle rovine. Perché nulla vi ricrescesse.

L'ennesima leggenda di questa prolifica regione di leggende, sostiene che l'emiro Abdullah Khan II, si sia poi pentito di aver dato quell'ordine, cancellando per sempre le radici della storia e della vita del grande conquistatore del clan dei Barlas, ma ormai era tardi: il danno era fatto. E fatto con grande cura se oggi entrando nell'abitato nessuno si accorge che da lì è passata la gloria e la potenza. L'orgoglio e la forza.

A prima vista sembra d'essere in uno dei tanti piccoli centri uzbeki. Ma a differenza di altri questo sembra risparmiato dalla sovietizzazione sia nei costumi che in urbanistica: le case sono case uzbeke e tagike, non casermoni sciatti secondo l'uso delle periferie moscovite, e i campi sono coltivati con la cura di chi non ha subito l'influsso della rivoluzione operaia, che ha marchiato tutto con l'imprintig della fabbrica, ma ha invece conservato intatta una secolare cultura contadina. Che anche qui, nonostante il cotone, è sempre più rara, mescolata com'è



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