Suoni fragili e selvaggi by David George Haskell

Suoni fragili e selvaggi by David George Haskell

autore:David George Haskell [Haskell, David George]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2023-03-07T12:00:00+00:00


Capitolo tredicesimo

Musica, foresta, corpo

La piazza del Lincoln Center a New York è stata spogliata di qualsiasi segno di vita non umana. La pavimentazione è composta da lastre a colori contrastanti nero e tanno che tracciano uno schema geometrico attorno ai 317 getti della fontana illuminata. L’architettura punta a promuovere e onorare la cultura alta ma anche a escludere il resto, dichiarando con nettezza che la potenza e l’ingegno umani hanno qui il pieno controllo. Il resto del mondo vivente è stato cancellato, con l’eccezione di trenta platani piantati lontano dalla piazza principale, disposti in file militari su un rettangolo di cemento ricoperto di ghiaia. La memoria della florida comunità umana il cui quartiere fu raso al suolo negli anni Cinquanta per far posto a questa struttura – settemila famiglie di afro e latinoamericani costrette a trasferirsi senza alcun supporto – è stata a sua volta eliminata. Sembra un luogo fatto per chi è convinto di essere un maestro, dal latino magister, «colui che è piú grande». Qui si esprimono tanta bellezza, talento artistico e connessioni piene di significato, ma anche fratture e oblio.

Entriamo nella sala da concerto, sede della New York Philharmonic, la piú antica orchestra sinfonica degli Stati Uniti. Anche qui lo spazio trasmette un messaggio di predominio imposto da un unico piano architettonico, come quasi tutti i luoghi in cui gli uomini si riuniscono per pascersi dei frutti della cultura: spazi scenici, sale conferenze, musei, cinema e luoghi di culto. Tappezzerie, corrimano in metallo, pannelli di legno lisci e lucidi che sembrano fatti di plastica. Le porte della sala si chiudono, isolando i suoni interni dal resto del mondo. Sul palco, camicie, pantaloni e abiti di un nero uniformante rivestono i corpi dei musicisti. L’estetica è formale e segnala ricchezza.

Ogni punto del percorso che conduce al concerto infonde nell’ascoltatore l’idea di un distacco dal caos e dalle caratteristiche particolari della città, del mondo vivente, e persino della propria carne. Gli spettatori siedono lontano dai musicisti in uno spazio immerso nella penombra, muscoli e nervi resistono a qualsiasi impulso a lasciarsi trascinare o contribuire alla musica. Qui l’esperienza del suono deve trascendere, cosí pare, lo spazio e il tempo, concentrando piuttosto l’attenzione su una forma di creatività, talento e bellezza svincolati dalla Terra, un affrancamento che promette di condurre a Dio, se si suona musica sacra, altrimenti nel regno delle idee e delle emozioni umane.

Ma questa fuga è un’illusione. Lastrichiamo la terra viva, dislochiamo persone ed esseri non umani, celiamo la vista del corpo, chiudiamo le porte su un caveau insonorizzato – solo per ritornare alla nostra carne e alla varietà del mondo vivente: la sala genera una forte esperienza di vita incarnata, una fusione del mondo umano e di un mondo piú che umano quasi incomparabile per intimità fisica e ricchezza di rapporti ecologici. Pochi altri luoghi della nostra cultura cancellano in modo cosí radicale il confine tra «umano» e «non umano», pur considerando che non siamo soliti celebrare questo tipo di fusione nelle nostre rappresentazioni. O non



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