Tre donne nella vita di Vincent van Gogh by Mika Biermann

Tre donne nella vita di Vincent van Gogh by Mika Biermann

autore:Mika Biermann [Biermann, Mika]
La lingua: ita
Format: epub
editore: L'orma editore
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Ogni fiocco è un piccolo bavaglio che si adagia su Parigi la rumorosa. Le ruote cerchiate di ferro non fanno più scintille sul selciato. I cantieri sono abbandonati, i piedi curvi della torre si trasformano in disegni al carboncino, le pietre ammassate sulla collina di Montmartre portano il berretto da mugnaio. Tutt’intorno, la campagna. I giardini si riempiono di schiuma, i cavoli formano dei bozzi, i concimi non fumano più. I palazzi, ciechi, curvano la schiena. Gli angoli si smussano. Lungo i comignoli, lunghi drappi di bruma sventolano a mezz’asta. I viali chiudono il becco; invischiato nelle brume invernali, il grande movimento perpetuo si ferma. Anche il fiume, su cui galleggiano ancora delle chiatte nere cariche di neve, smette di lottare, le sue acque si rapprendono come il purè nel piatto. Dal quadro si cancellano chiese e monumenti, le rive impallidiscono, cavalli e persone spariscono sotto i ponti. Da lontano, dall’alto, la città somiglia a un campo mietuto in cui un nugolo di corvi lotta per un sacco di farina.

Agostina e van Gogh varcano la soglia di una taverna all’angolo tra rue Coustou e rue Lepic, dove, molto più su, il pittore abita a casa del fratello. Hanno bisogno di una pausa. Vengono accolti dal fumo di pipa e da un odore di cane bagnato. Niente cappelli a cilindro, solo baschi e qualche bombetta. Gli operai e i fattorini intorno ai tavoli battono i piedi e si strofinano le mani per riscaldarsi, il caffè nelle ciotole è freddo, meglio ordinare una birra o, se il portafoglio lo permette, un vin brulé, o meglio ancora un grog fumante.

«Ce l’hai i soldi?»

«Sono al verde. Magari si prenderanno il quadro…»

L’unica decorazione della stanza è un cartello dietro il bancone, su cui una mano insicura ha tracciato non si fa credito. Il padrone baffuto, avvolto in un grembiule di un bianco discutibile, sta servendo un rum all’unico gentiluomo tra la folla al bancone. L’uomo porta un cappotto bordato di blu, stivali da cavaliere e un bastone da passeggio con il pomello. Ha le borse sotto gli occhi chiari, il pizzetto, qualche ciocca bianca sulla testa, e lobi carnosi. Sul bavero della giacca di velluto è appuntato il nastro della legione d’onore.

«Félix!»

«Guarda un po’, il signor van Gogh.»

«Mi chiami Vincent. Le presento Agostina Segatori. Agostina, questo è il signor Ziem.»

«Ci conosciamo.»

«Cosa bevete?» chiede il padrone.

«Lo vuole un quadro per il bar?»

Vincent poggia la natura morta sul bancone.

«È lei l’artista?»

«Sono io. Sono un pittore. Come il signore.»

Indica Félix Ziem.

«Non è un granché» dice una specie di apache con la sigaretta in bocca.

«Vale qualcosa?» domanda un cocchiere con la bombetta ammaccata.

«Preferisco i cavoletti di Bruxelles» dice una giovanissima venditrice di tisane a cui mancano gli incisivi superiori.

«Lei non è di qui» constata un rubicondo bevitore di vin brulé.

«Si vede?»

«Si sente, soprattutto! È tedesco?»

Parecchi reduci del ’70 si voltano.

«No! No! Sono olandese.»

«Non è la stessa cosa?» chiede la venditrice di tisane.

«Questi pittori, tutti stranieri» dice il rubicondo.

«Io no» dice Ziem.

«Perché? Dove è nato lei?»

«A Beaune.»

«E dov’è?»

«Nella Côte-d’Or.»

«In Canada?»

«Non li voglio i suoi fiori» dice il padrone.



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