Troia by 0549

Troia by 0549

autore:0549 [0549]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2010-10-22T21:09:25.282000+00:00


La vera e propria ambasceria tra i re era rimasta celata: mancava la bava di rospo, sentenziò Kal-Upshashu, e Ninurta disse che era tranquillamente disposto a rinunciarvi. Ma dormì più tranquillo nelle ultime notti passate sull’isola e anche in seguito, quando divise con Tashmetu la coperta di poppa del Guadagno di Keret o giacque insieme a lei, sotto cespugli profumati, al di sopra di una baia nella quale stava ancorata la loro nave. Il drago d’ombra era ancora lì, ma si era ritirato e ora, anziché infuriare, si limitava a mugolare.

Nei porti che toccarono appresero da mercanti e pescatori (che l’avevano sentito da altri pescatori, i quali sostenevano di averlo sentito da pescatori achei) che l’esercito dei principi dell’Achiawa pronto a muovere, era stato colpito da una pestilenza. Tuttavia vi si trattennero appena il tempo necessario per rifornirsi di acqua fresca e barattare o acquistare cibo: le pestilenze potevano terminare così rapidamente come erano iniziate, e nessuno sapeva per quanto tempo gli achei si sarebbero lasciati frenare dagli dèi o dalle circostanze.

Il nuovo porto della città di Abasa, che gli achei chiamavano Efeso, non si trovava lungo la foce del Ka-Istros, ma direttamente nella baia marittima. Sull’abitato era calato un velo di nebbia appiccicosa e soffocante, provocata dalla calda giornata primaverile ma anche dagli innumerevoli fuochi e martelli che facevano salire al cielo fumo e polvere di pietra. Nella grande piazza dietro gli edifici del nuovo quartiere del porto si provavano i carri da guerra. Tsangar si fermò a osservarli, mentre Tashmetu e Ninurta entravano in città.

Schiavi, manovali e molti altri abitanti di Efeso, probabilmente offertisi come volontari, riparavano le mura. I blocchi di pietra, pesanti e irregolari, venivano imbiancati, le commessure riempite d’argilla e di cocci frantumati. Nell’interno, dove i fuochi mandavano fumo maleodorante, evidentemente cercavano di cuocere gli strati d’argilla nelle commessure; nei pressi del fiume i lavoranti mescolavano in mastelli fuliggine, sangue d’oca e altri materiali puzzolenti, ottenendo colori che venivano stesi sugli strati già cotti.

Nella confusione che si snodava lungo le strade di mattoni della città, Ninurta non trovò il socio d’affari con cui voleva parlare; il magazzino sulla grande piazza traboccava di balle di tessuto e brocche, e uno dei lavoranti disse che il padrone era in giro per la città e che sarebbe ritornato subito, o domani, o forse tra una luna.

Nella piazza due o tre alberi vecchi erano stati tagliati, privandola della loro ombra salutare, per fare spazio a una pietra d’altare che alcuni sacerdoti vestiti di rosso scuro fregavano e grattavano. I guerrieri di Madduwattas [Efeso era una delle numerose capitali del regno di Arzawa) bighellonavano in giro, senza che gli abitanti se ne curassero.

Lasciarono un messaggio per il mercante e si diressero al porto, dove trovarono Tsanghar; quest’ultimo riferì loro di aver notato due particolarità riguardo all’uso dei carri da guerra: i carri venivano guidati con corde attaccate ad anelli infissi nelle delicate narici degli animali; ogni carro, inoltre, era equipaggiato con un guidatore e un lanciatore di giavellotto.

«La tua gente, assiro, gli hatti e i romet sanno usare i carri.



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