Tu che mi guardi, tu che mi racconti by Adriana Cavarero

Tu che mi guardi, tu che mi racconti by Adriana Cavarero

autore:Adriana Cavarero [Cavarero, Adriana]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 88-07-47011-X
editore: Feltrinelli
pubblicato: 1997-09-14T22:00:00+00:00


2. Orfeo il poeta

Hic, ne deficeret metuens avidusque videndi flexit amans oculos, et protinus illa relapsa est.

OVIDIO, Metamorfosi

Morta Euridice, Orfeo cerca consolazione nella sua arte. “Te, dolce sposa, te sulla riva solitaria a se stesso, te all’arrivo del giorno, te al suo allontanarsi cantava”,152 ci assicura Virgilio. Per sé canta il poeta narrando di lei sulla riva solitaria, ma il suo canto viene ascoltato da altri, che sempre più numerosi si lasciano sedurre dal verso poetico: uomini e bestie, divinità infere e anime trapassate. Così la memoria di Euridice si diffonde e il canto potrà essere ripetuto, di generazione in generazione, divenendo immortale anche oltre il tempo di vita concesso a Orfeo.

Essenzialmente due sono i volti di Orfeo che attraversano la lunga tradizione letteraria dedicata al mito. Da un lato, egli è il simbolo stesso della poesia, del linguaggio che incanta l’uditorio, del verso magico che ha “la capacità di abbattere le barriere fra la vita e la morte, e addirittura di ricondurre in vita i morti”.153 Da un altro lato, egli è l’amante estremo, colui che sfida gli Inferi per riavere l’amata e, per troppa passione, vanifica la sua impresa. L’Orfeo di Virgilio, che canta proprio di lei, dell’amata, ha dunque il merito di sintetizzare i due volti legando il verso narrante alla relazione amorosa. Si tratta però di un legame tragico. Come dice il suo nome, Orfeo è orfano: il suo poetare viene da una perdita inesorabile, dalla morte dell’amata. In quanto simbolo della poesia d’amore, Orfeo inaugura l’ostinata tradizione che vuole nella donna amata una donna morta.

In quanto è il poeta per eccellenza - non solo il poeta d’amore ma il simbolo stesso della poesia - egli è però anche in grado di impersonare l’avversario diretto del filosofo per eccellenza, Platone.

Fin da quando la filosofia decide di chiamarsi tale e di definire il suo statuto disciplinare con l’opera di Platone, essa infatti dichiara guerra all’arte poetica e orgogliosamente se ne differenzia. Dopo il celebre studio di Havelock154 non ci sono ormai più dubbi sulla causa originaria di tutta la faccenda. Lo straordinario atteggiamento di ostilità che Platone riserva all’arte poetica - ossia ai vari tipi di narrazione (epica, tragedia, poesia) che dominano la cultura greca del tempo - consegue al gesto consapevole con cui egli viene a fondare la filosofia come un genere alternativo di discorso. Detto in breve, il passaggio epocale dall’oralità alla scrittura, da Omero a Platone, è soprattutto un passaggio dal verso narrativo, che incanta l’uditorio evocando immagini nel flusso seducente e irriflesso del racconto, al discorso filosofico, che procede invece con metodo a definire e a fissare i suoi termini. “Il movimento cruciale della filosofia nasce dal ripudio della poesia”,155 il lavoro dell’astrazione nasce dal ripudio del piacere della narrazione. Dalle storie di Omero si passa all’immobilità senza storia delle idee. Ciò che Edipo ha imparato a sue spese, subendone le conseguenze, per Platone è un principio, anzi, il principio stesso del filosofare.

Con la tipica serietà della sua ironia, Platone non ha dunque scrupoli a prendersi gioco di Orfeo.



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