Tutti i racconti by Abraham B. Yehoshua

autore:Abraham B. Yehoshua [Yehoshua, Abraham B.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 1992-12-31T23:00:00+00:00

Terza chiamata.

La vicina mi avverte che c'è una telefonata per me.

Scendo, entro nell'appartamento inondato di luce, tirato a lucido. Mi affaccio alla camera da letto che odora di talco. Il piccolo, vestito di bianco come il sommo sacerdote, guarda con severità da sotto al baldacchino.

Prendo il ricevitore.

- Sì?

- Ze'ev?

- Sì. Ciao Dov.

- Come è andata la notte?

- Tutto a posto.

- E Yali dov'è?

- Di sopra. Si diverte con i giocattoli.

- Come sta?

- È un bravo bambino. Si comporta coraggiosamente.

- Non piange perché non ci siamo?

- No. No... Cosa ti salta in mente? Gli vuoi parlare?

- Non ti disturba?

- Figurati.

Appoggio il ricevitore sul tavolo, guardo con severità il bimbo che segue i miei movimenti, infastidito.

Esco in silenzio dall'appartamento, prendo Yali dal letto e lo porto giù così com'è, febbricitante, mezzo addormentato.

- Tuo padre ti vuole parlare.

Alza verso di me gli occhi stanchi, il suo corpo comincia a pesare. Con una mano lo sorreggo, con l'altra prendo il ricevitore e glielo metto accanto al piccolo orecchio.

- Ecco papà, - dico.

Yali ascolta. Poi dice strascicando i suoni: - Do... ov...

E tace.

Il padre lontano parla al silenzio. Non capisco una parola del suo bofonchiare, mi chiedo cosa possa capire Yali. Però continua ad ascoltare con le ciglia che gli cadono sugli occhi. Evidentemente laggiù, da lontano, gli stanno chiedendo come sta, cosa fa, come si comporta.

Yali non apre bocca. Il borbottio del padre si fa irritato. Con voce gutturale gli ripete più volte la stessa domanda. E allora Yali risponde con una strana tranquillità: - Sì.

E dopo una breve pausa, con dolcezza: - Va bene.

E allontana il ricevitore dall'orecchio.

Credo che parlare gli costi fatica. Deve avere la gola chiusa, soffocata, perché avrebbe dovuto gridare al padre lontano. Invocare soccorso.

Raccolgo il ricevitore che è scivolato. Ho ancora il bambino in braccio.

- Non è un gran chiacchierone... - Rido.

- No... No... - Una risata del padre tra il nervoso e l'adirato.

- Evidentemente hai ascendente sui bambini. Questa tranquillità di Yali...

- E voi come state? Gli studi come vanno?

- Montagne di libri. Non ce la faremo sicuramente a finire. Per fortuna Haya è ancora tranquilla. Io ho perso la fiducia da un pezzo.

Lo conforto. Lo incoraggio.

-... e se non avete tempo, non state a disturbarvi per telefonare.

Il padre dice qualcosa e si imbroglia.

- Ma non è bello. Ti stiamo sfruttando... ti abbiamo gettato addosso questa cosa...

- Ma ti pare che il bambino mi sia stato gettato? rispondo con calma.

- Oh no... cioè... scusa... ti siamo molto riconoscenti. Veniamo a riprenderlo domani, subito dopo gli esami...

- No, non ce n'è bisogno. Ve lo porto io.

(Domani sera camminerò da solo sui colli di Gerusalemme, andrò da loro e dirò: «Il bambino non c'è più»).

- Grazie, Ze'ev. Ancora mille grazie...

Yali mi sta dormendo in braccio. Poso il ricevitore sul telefono. Lascio lentamente la stanza sorridendo al bambino sommo sacerdote.

Questi trasalisce, scoppia senza ragione in un pianto disperato che lacera il silenzio.

Da qualche parte accorre la madre, toglie il velo dal lettino, prende il bimbo tra le braccia, e lo stringe al petto.

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