Ultimi dispacci di vita palestinese in Israele by Sayed Kashua

Ultimi dispacci di vita palestinese in Israele by Sayed Kashua

autore:Sayed Kashua [Sayed Kashua]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza
pubblicato: 2017-03-14T16:00:00+00:00


13-08-2010

Il festival degli scrittori

Tutto è cominciato con una telefonata di mio padre, in cui mi dice che quella sera sarebbe venuto al festival internazionale degli scrittori a Gerusalemme.

«Io e tua mamma abbiamo pensato che non ce lo perdoneremmo mai se perdessimo l’evento di stasera» annuncia.

«Oh, papà, che emozione» gli rispondo. «Non vi avevo detto di questa occasione perché non volevo disturbarvi».

«Ma quale disturbo» mi zittisce mio padre, «che ti prende? È un evento che non capita mica tutti i momenti. Ovvio che verremo».

«Non sai che piacere mi fai» gli dico cercando di dominare il tremito di felicità che mi stravolge la voce.

«Allora, abbiamo qualche possibilità di vederti dopo la conclusione?» chiede mio padre.

«Certo» rispondo, «che domanda. Appena scendo dal palco vengo da voi e magari andiamo a mangiare qualcosa insieme».

«Scendi?» domanda lui sorpreso. «Da che palco?».

«Che vuol dire?» faccio io.

«Come?» chiede mio padre. «Anche tu hai un evento stasera al festival?».

«Non capisco».

«Yalla» sogghigna mio padre. «Vedo ora nel programma, è vero, c’è il tuo nome».

«E ti fa tanto ridere? Non capisco».

«Ti hanno messo proprio alla stessa ora dell’incontro fra David Grossman e Paul Auster» ridacchia mio padre. «Non preoccuparti, tanto non c’è gara».

E continua a ridere anche mentre attacca.

Come ho fatto a non accorgermene finora? Mio padre ha ragione, do un’occhiata al programma e scopro che in tutto il festival internazionale degli scrittori ci sono solo due eventi in perfetta concomitanza: il mio e quello di David Grossman e Paul Auster. Non ci vado, è stato il primo pensiero. Non mi faccio sfruttare, non lascio usare il mio nome come vessillo arabo, senza neanche tentare di camuffare i loro tentativi di occultarmi. Non lascerò passare inosservata questa pulizia etnica letteraria. Chiamo immediatamente la direzione del festival e comunico il mio categorico dissenso. Chi è il direttore?

Cerco su Google. Ecco, trovato. Tsila Hayun, direttrice artistica. Mentre compongo il numero di telefono dell’ufficio del festival digito su Goole il suo nome per avere un’idea del suo background letterario. Clicco sul primo link che compare e comincio a leggere: il 3 agosto 2003 la famiglia Hayun al ritorno nella propria casa a Har Gilo, un insediamento vicino a Gerusalemme, da una vacanza nel Sinai, è stata aggredita da terroristi. La madre, Tsila Hayun, è stata colpita da sei pallottole. È in condizioni disperate…».

«Festival internazionale degli scrittori, buongiorno» riesco a sentire all’altro capo della linea, prima di attaccare. Non c’è nulla da fare. Niente rimostranze, niente proteste, niente annullamento. Accetterò in silenzio il castigo che mi spetta.

Yalla, perché succedono sempre tutte a me? Sempre. Forse è meglio cosí, provo a convincermi, meglio cosí. Insomma, se cominciano a trattarmi con rispetto, finisce che divento troppo sicuro di me. Come farò se un giorno o l’altro scoprissi che valgo veramente qualcosa? Probabilmente smetterei di comportarmi come un arabo e alla fine la mia vita andrebbe in malora. È tutto a fin di bene, mi dico tirando un lungo sospiro. Meglio che continuino a trattarmi come un corpo estraneo e a rammentarmi qual è il mio vero posto.



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