Una canzone per tempi bui by Ian Rankin

autore:Ian Rankin [Rankin, Ian]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2021-04-29T12:00:00+00:00

21

«Sai che ti dico?» disse Cole Burnett a Benny. «Che sei morto, stronzo.»

Burnett era legato a una traballante sedia di metallo. Le labbra erano incrostate di sangue secco e l’occhio destro cominciava a gonfiarsi. Era a torso nudo, e costole e reni erano striati di lividi. Aveva la faccia butterata dall’acne e i capelli a spazzola impastati di gel. Trovarlo aveva richiesto più tempo del previsto, e quando gli era stato intimato di salire in auto, il teppistello si era dato alla fuga. Era più veloce di Benny e, conoscendo meglio Moredun e Ferniehill, lo aveva seminato correndo per sentieri e prati dove la macchina non poteva seguirlo. Per far cantare la gente del quartiere ci erano volute promesse di favori e un po’ troppi soldi per i gusti di Benny. Ma tra SMS e soffiate farlocche, alla fine l’aveva spuntata lui.

Non che il suo capo fosse contento. Il Jenever era ancora aperto, per cui Burnett era stato portato in un vicolo vicino a Tollcross, in un garage la cui serranda veniva alzata solo a notte fonda, se c’era una macchina a cui cambiare la targa o addirittura da riverniciare. Il posto non era isolato acusticamente, ma quelli del posto non si lamentavano né ficcavano il naso.

I vestiti di Burnett erano ammucchiati ai piedi della sedia. Benny li aveva passati al setaccio senza trovare granché, a parte un po’ di erba, delle pasticche e circa duecento sterline, che non aveva mancato di trasferire nelle proprie tasche. Bancomat e preservativi glieli aveva lasciati. Non era da lui rubare a qualcuno l’ultimo preservativo – e forse più tardi Burnett sarebbe stato fortunato, anche se Benny ne dubitava. Quella sera il garage era vuoto e il pozzo d’ispezione era coperto. Quasi tutti gli attrezzi erano dentro armadietti chiusi con il lucchetto, per cui Benny aveva preso la borsa con la sua roba dal bagagliaio della Mercedes. Adesso era appoggiata su una panca proprio davanti a Burnett.

«Voglio fumare» disse Burnett per l’ennesima volta. Gli altri suoi tormentoni erano: «Sto gelando» e: «Ma tu lo sai chi sono io?». Stava riproponendo quest’ultimo quando entrò Big Gerald Cafferty, che si avvicinò al prigioniero non prima di aver lanciato un’occhiataccia a Benny. Indossava un giubbotto scuro trapuntato con la zip tirata su fino al collo e anfibi con la punta di metallo, come se stesse andando a lavorare in un cantiere. Alle mani guanti di pelle nera e in testa un berretto da baseball dello stesso colore. Senza toglierselo, si inchinò in modo da guardare negli occhi Burnett.

«E tu lo sai ci sono io?»

«Uno stronzo che una volta era qualcuno.»

Cafferty si girò per sorridere a Benny. «Ci vuole far vedere che ha i coglioni, il ragazzo…» Dopodiché diede un manrovescio in faccia a Burnett, con una forza tale che la sedia si rovesciò di lato e il prigioniero picchiò la testa sul pavimento.

«Bastardo» farfugliò Burnett.

Cafferty si accovacciò accanto a lui. «Esattamente, coglione che non sei altro. Ma sono un bastardo che sa tutto di te. Pensi di

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