Una storia americana by Francesco Costa

Una storia americana by Francesco Costa

autore:Francesco Costa [Costa, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2020-12-23T12:00:00+00:00


VI

La scorsa catastrofe

Joe Biden era in treno verso casa quando Barack Obama lo chiamò e gli disse che lo stava prendendo in considerazione come candidato alla vicepresidenza. Era l’estate del 2008 e le primarie del Partito democratico si erano appena concluse. Biden ringraziò, ma rispose che non era interessato. «Ovviamente non glielo dissi con leggerezza» raccontò poi nel libro autobiografico Papà, fammi una promessa. Ma la prospettiva di lasciare il Senato per fare il numero due non lo convinceva. «Negli anni mi ero guadagnato stima e considerazione, avevo una fama di formidabile legislatore e contavo parecchio.» La sua vita, insomma, gli piaceva già abbastanza: non cercava altro. Quando ne parlò con il suo staff, poi, gli chiese provocatoriamente: «Voi ricordate il nome del vicepresidente di Abraham Lincoln?». Ecco, appunto.

Il ruolo del vicepresidente è uno dei più ingrati della politica americana, nonché quello con la più ampia distanza tra la rilevanza reale e quella percepita. Malgrado il vicepresidente sia a tutti gli effetti la seconda carica nel governo americano, nonché la persona designata alla successione in caso di morte o dimissioni del presidente, le prerogative del suo incarico non sono scritte da nessuna parte. Quali sono le sue competenze, gli ambiti in cui svolge il proprio lavoro nel governo del paese? Nessuno. Quali sono i suoi poteri, secondo la Costituzione? Nessuno, se non presiedere il Senato.

In ultima istanza, i poteri del vicepresidente sono quelli che il presidente decide di delegargli: e sono quasi sempre pochissimi. Quando chiesero al presidente Dwight Eisenhower di citare almeno una o due decisioni in cui l’apporto del suo vice era stato fondamentale, lui rispose: «Se mi date una settimana, cercherò di farmi venire in mente qualcosa». Il primo vicepresidente della storia americana, John Adams, disse che era «l’incarico più inutile mai inventato dall’uomo». Un importante senatore, Daniel Webster, nel 1848 rifiutò di fare il vice spiegando di voler essere seppellito soltanto da morto. Benjamin Franklin suggerì di chiamare il vicepresidente con il titolo «Sua Superfluità». Thomas Riley Marshall, vice di Woodrow Wilson dal 1913 al 1921, disse che il vicepresidente è «un uomo in perenne catalessi», perché «è perfettamente consapevole che intorno a lui tutto si muove, ma anche che quello che si muove non lo riguarda». Quando lasciò l’incarico, scrisse un biglietto al suo successore, Calvin Coolidge: «Hai tutta la mia solidarietà».

Nell’estate del 2008, Biden era il più importante senatore degli Stati Uniti. Giunto alla fine del suo sesto mandato e pronto a iniziarne un settimo, non era soltanto il legislatore più influente del Partito democratico: era la persona che i presidenti consultavano per sapere se una legge o una nomina avesse qualche chance di passare, il centro di ogni negoziato quando c’era da trovare un accordo tra Democratici e Repubblicani, il più efficace nel persuadere il collega riottoso del momento e ottenere il suo voto favorevole o contrario su questa o su quella questione. Era ancora il presidente della commissione Esteri, e quindi in contatto costante con il dipartimento di Stato e la Casa



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