Un'assoluta mancanza by Francesca Bussi

Un'assoluta mancanza by Francesca Bussi

autore:Francesca Bussi [Bussi, Francesca]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Narrativa, Generica
ISBN: 9788858693117
Google: rmhUDwAAQBAJ
editore: Rizzoli
pubblicato: 2018-05-07T22:00:00+00:00


25

«Prometti che non guarderai?»

L’uomo annuì. Certo che prometteva, avrebbe fatto di tutto per lei. Oh, le cose che avrebbe fatto per lei.

«Non dire bugie» lo rimproverò la ragazzina. Anche se allungava lentamente le labbra in un sorriso malizioso, le restava in fondo al cuore un’incertezza. Perché l’uomo indossava gli occhiali da sole anche se si trovavano al chiuso, e lei non riusciva a cercargli negli occhi la verità. Aveva bisogno di fidarsi di lui, solo che non era sicura di poterlo fare. Si morse il labbro.

Per convincerla di essere davvero sincero, l’uomo si voltò, dandole le spalle. Era un segno di buona volontà, per quanto inutile: la stanza era così piccola che era impossibile mantenere la promessa. Non si poteva non guardare, neppure volendo. Soprattutto perché, appeso alla parete con un filo di ferro arrugginito, c’era un triangolo tagliente di specchio. Brillava nella luce del tramonto come un pugnale da fiaba, di quelli che si raccontano intagliati in un raggio di luna, e rifletteva senza pietà tutto ciò che stava succedendo alle spalle dell’uomo. L’unica soluzione sarebbe stata chiudere gli occhi, ma questo non l’avrebbe mai fatto, oh no, questo mai. Chiudere gli occhi sarebbe stato sinonimo di debolezza, e lui, tra loro due, era e doveva restare quello più forte. Dietro le lenti scure, strinse appena gli occhi, socchiudendoli quel tanto che bastava per sfocare i contorni. Così non era proprio come mentire, era più una mezza verità. Si sentiva la coscienza pulita, ed era una bella sensazione, mista a un’altra, più profonda e difficile da indagare.

Il bagno di quella stanza misera non aveva porta, e solo un buco al centro del pavimento. La ragazzina ci si accovacciò sopra, la gonna sollevata fino alle ginocchia, un lembo stretto nel piccolo pugno. Sapeva, in fondo, che lui le aveva mentito, che avrebbe guardato comunque: era un rischio che doveva correre. Per tutta risposta, però, la vescica si era addormentata. Strisciò un piede a terra, avanti e indietro, come a darsi l’avvio.

L’uomo intanto stava sempre sulla soglia, immobile. Solo, apriva e chiudeva ritmicamente le mani. Contava i secondi, o almeno così pareva, perché muoveva anche le labbra senza fare rumore, in silenzio. Lontano, intanto, un cane aveva cominciato ad abbaiare.

C’era un’attesa elettrica nell’aria.

Di cosa, forse era meglio non saperlo.

Anche questa volta mi sono svegliata contro il muro. Era come se stessi provando a scardinare a mani nude una porta che non esisteva, come se cercassi di fuggire da quello che sognavo. Da dove mi arrivavano quelle immagini? Non lo so.

Da qualche tempo ho aumentato la dose di sonniferi, e questo mi fa scivolare con più facilità nell’incoscienza. Ma gli incubi restano, e adesso si è aggiunto il sonnambulismo. Che non ha nulla a che vedere con quello simpatico dell’infanzia, degli aneddoti raccontati migliaia di volte su passeggiate notturne e monologhi a occhi chiusi. No, questo è violento, mi fa digrignare i denti, sfregarli gli uni contro gli altri fino a renderli fragili e spugnosi come statuine di zucchero. E, nelle ore più depresse della notte, mi spinge ad alzarmi per scappare.



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