Unsui by Tozan

Unsui by Tozan

autore:Tozan [Tozan]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Lindau


5

Il sentiero delle montagne

Durante le brevi notti di primavera, quando il tempio era ancora immerso in un oceano di oscurità fluttuante, avvolto da una sottile patina di brina, avevo preso l’abitudine di alzarmi qualche minuto prima dell’inizio della meditazione. Rimanevo nel corridoio esterno, dietro lo hondō, di fronte al grande giardino. Da lì i miei occhi potevano scrutare il cielo, contemplare per un istante le centinaia di stelle visibili senza alcuna interferenza. A volte, verso le tre del mattino si riusciva a scorgere la Via Lattea, un’ampia veste madreperlacea dai riflessi color giada e cobalto che intrappolava il tempio dall’alto come un’onda che ti avvolge prima di morire nella risacca. Udivo gli insetti che dominano la notte, mentre qualche nuvola spessa frustava la luna gialla e cremosa; sembrava che tutta quella bellezza provenisse da un universo lontano, intoccabile, l’eccentrica vibrazione di un mondo senza tempo né limiti.

Un proverbio zen dice: «La pratica deve essere pulita». In giapponese esiste una sola parola per esprimere sia il concetto di «bello» che di «pulito». I monaci esperti hanno spesso una postura molto bella quando fanno zazen e forse mentre meditano si preoccupano anche dell’eleganza, incarnando la bellezza di una mente distaccata dalle pulsioni più triviali. La bellezza naturale scaturisce sempre da una postura pulita e armoniosa. Vedere i vecchi monaci meditare mi ha sempre fatto pensare a quegli uccelli longilinei che abbondano nelle stampe giapponesi e attraversano silenziosamente il cielo senza lasciare tracce.

«Devi meditare come un uccello e una montagna, essere leggero, disteso, gioioso pur restando fiducioso, stabile, radicato e sereno», ho sentito dire spesso. In realtà un artista non è tanto diverso da un monaco. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, la meditazione zen non porta a una rigida immobilità. Pur rimanendo fermo, il nostro corpo continua a muoversi: respiriamo, aggiustiamo la posizione della nuca, il dolore talvolta provoca un riflesso nei piedi, gli occhi si chiudono o si aprono un po’ troppo, le dita si tendono o si rilassano.

Tutti quei piccoli aggiustamenti più o meno consapevoli concorrono a una postura corretta, come un pittore che con tocchi di colore stesi qui e là dà una direzione precisa all’opera. Attraverso interventi sottili che lo spettatore probabilmente non noterà mai, l’artista cerca anche di avvicinarsi a una verità che gli sfugge continuamente, passando la vita a girare attorno allo stesso punto ineffabile, cercando di catturare il colore impossibile di una mela o la consistenza di un cielo.

Così come l’artista, il monaco non commenta la sua meditazione, diceva un vecchio maestro. Una volta terminata l’ora del raccoglimento, forse aspirando a una certa esigenza estetica che risponde all’accuratezza interiore, è sempre in cammino senza mai decretare nulla sui sentimenti che prova. Credo che questa ricerca discreta risponda a quello di cui oggi sono persuaso: la pratica religiosa nella sua interezza è una Via verso la bellezza.

Al tempio, quando i cinghiali venivano di notte a fare un giro nel giardino intorno allo hondō, lasciavamo le impronte intatte, senza pulire o spazzare nulla. Quando i fiori cadevano dai vasi delle offerte li lasciavamo appassire e accartocciarsi.



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