Verso un'economia comunitaria by Guido Candela

Verso un'economia comunitaria by Guido Candela

autore:Guido Candela
La lingua: ita
Format: epub
editore: Eleuthera
pubblicato: 2021-10-04T00:00:00+00:00


Una maniera infallibile per semplificare gli accordi sociali, per ignorare il gioco complesso delle prospettive, dei desideri, delle passioni e della mutua comprensione, ovvero l’essenza dell’esistenza umana, è quella di creare una legge e minacciare di colpire tutti quelli che la infrangono. Per questo la violenza è l’arma preferita dagli stupidi […] ed è ovviamente anche la base dello Stato (Graeber, 2020).

Anche se lo Stato usa del potere nella sua accezione migliore, dettando solo norme anonime, rimane il fatto che le leggi svolgono un ruolo di incentivo nel comportamento degli agenti.

Seguendo Zamagni, partiamo dalla classificazione dei comportamenti reali degli agenti, che possono essere definiti: i) antisociali, se invidiosi del beneficio altrui e dunque aggressivi; ii) asociali, se interessati solamente al proprio beneficio; iii) prosociali, se guidati da altruismo e reciprocità. Ovviamente, i primi due sono da ricondurre alla logica dell’Io, l’ultimo alla logica del Noi.

Allora, codici e sanzioni di per sé non correggono necessariamente la logica egoistica implicita nelle infrazioni, ma possono persino ottenere l’effetto opposto non promuovendo ma anzi abbattendo l’altruismo. Norme legali fortemente punitive possono far aumentare nella popolazione l’intensità dei comportamenti antisociali o asociali; norme sociali e morali, che accompagnano con elevati premi o sanzioni le azioni ammirabili e rispettabili, possono spiazzare l’atteggiamento responsabile degli agenti, inducendo fake news e quindi diminuendo la propensione prosociale della comunità.

Sotto questo punto di vista, dobbiamo concludere che il sistema dei codici, anche quello migliore dettato da uno Stato neutrale, è l’incentivo sbagliato per motivare il comportamento sociale degli agenti.

Di regole c’è bisogno? Sì!

La risposta potrebbe apparire paradossale, perché nell’intendere comune, non nella sue radici filosofiche, l’anarchia è intesa come sinonimo di disordine allorché cessano le norme di Stato e «cadono» i codici. Tuttavia, se c’è disordine non c’è anarchia, se c’è anarchia non c’è disordine. Con efficacia Proudhon afferma che «la libertà è la figlia dell’anarchia» e «la libertà è la madre dell’ordine, non la figlia». Quindi il collegamento fra anarchia e disordine è falso.

Anche fra i ricercatori l’anarchia è spesso intesa come esito di un sistema sociale in disfacimento allorché si dissolve il potere dello Stato, un sistema che sfocia nel disordine pubblico e nella violenza individuale: così pensano Acemoğlu e Robinson quando si riferiscono sia al tracollo dello Stato siriano (riferendosi al regime di Bashar al-Assad) dal 2011, sia alle vicende della Repubblica Democratica del Congo dopo il 1960, ovvero dopo l’indipendenza dal Belgio. Tuttavia, se l’anarchia è in sé assenza di Stato, l’assenza dello Stato di per sé non è anarchia, un’affermazione compiutamente dimostrata da Colin Ward (1924-2010). Ancora Acemoğlu e Robinson, riferendosi alla Nigeria del 1993, sostengono: «A Lagos […] il dominio era ovunque. Non c’era un’anarchia prossima ventura: era un’anarchia già presente». Tuttavia se c’è dominio non c’è anarchia, se c’è anarchia non c’è dominio, un’affermazione compiutamente dimostrata da Amedeo Bertolo (1941-2016). Quindi anche il collegamento fra l’anarchia e un sistema sociale in cui si manifesta il dominio dell’uomo sull’uomo è falso.

Bisogna allora essere estremamente chiari nell’affermare l’errore insito nei fake friends e nelle fake correlations che collegano l’anarchia all’assenza di leggi, regole e ordine.



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