Zaccuri Alessandro - 2017 - Come non letto: 10 classici più 1 che possono ancora cambiare il mondo by Zaccuri Alessandro

autore:Zaccuri Alessandro [Zaccuri Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Social Science, General, Literary Criticism
ISBN: 9788868338152
Google: LPUtDwAAQBAJ
Amazon: B0746J3Z48
editore: Ponte alle Grazie
pubblicato: 2017-08-29T22:00:00+00:00

6. Moby Dick: il mistero

Più vicino! stammi accanto, Starbuck; fammi guardare un occhio umano; è meglio che guardare nel mare o nel cielo; è meglio che guardare in Dio. In nome della terra verde, in nome del focolare acceso! Questo è lo specchio magico, marinaio; vedo mia moglie e mio figlio nel tuo occhio.

Anche Moby Dick è la storia di una vendetta: la vendetta impossibile che il capitano Achab cerca di prendersi sulla balena che, anni prima, gli ha strappato una gamba. Ma il romanzo di Melville è anche una vendetta sul lettore, è la sublime rivincita dello scrittore rispetto alla pretesa di capire tutto che, in modo più o meno consapevole, appartiene a ciascuno di noi. In Moby Dick non tutto si capisce e, forse, di Moby Dick neppure Melville ha mai capito tutto. Di certo non aveva le idee chiare Ray Brad-bury, il grande narratore di fantascienza (e non solo, lo so, ma non è colpa mia se Fahrenheit 451 e Cronache marziane restano i suoi libri più famosi) che negli anni Cinquanta lavorò alla sceneggiatura del Moby Dick cinematografico diretto da John Huston. Prima di essere incaricato dal regista, Bradbury non aveva mai letto per intero il «maledetto romanzo», come lo chiamava lui, e in un certo senso è stata questa inesperienza, unita a una fatale mancanza di nozioni specialistiche, a permettergli di mantenere intatto il clima di indeterminatezza e, appunto, di mistero che caratterizza il capolavoro di Melville. Lo aveva già detto D.H. Lawrence, l’autore dell’Amante di Lady Chatterley. È evidente che Moby Dick è un simbolo, si legge nel suo Classici americani (1923). Ma di che cosa? si domanda Lawrence. E noi lettori continuiamo a domandarcelo con lui.

Nell’estate del 1977 (o forse era il ’78: quarant’anni fa o giù di lì, prendete nota) non sospettavo di trovarmi in compagnia di Bradbury, di Lawrence e di tanti altri inseguitori della Balena bianca. Per le vacanze al mare avevo portato con me due volumi di proporzioni ragguardevoli, che avevano creato un certo scompiglio quando si era trattato di preparare i bagagli. La mia, infatti, era una delle poche famiglie italiane a non possedere un’automobile, si viaggiava in treno e alle valigie, in quell’epoca remota, non erano ancora spuntate le rotelle. Il primo librone era il Rocci, e cioè il vocabolario di greco che mi serviva per sbrigare la mole strabordante di frasette, versioni e versioncine prescritte dall’insegnante del ginnasio: la stessa professoressa dell’interrogazione sulla notte degl’imbrogli nei Promessi Sposi, esatto. L’altro librone era Moby Dick in un’edizione non troppo pregiata e nella versione, allora quasi egemone, di Cesare Pavese.

Era estate, eravamo al mare, non avevo più di quattordici o quindici anni e mi ero messo in testa di leggere Moby Dick. E l’ho fatto, lo reclamo a mio merito. Sono arrivato in fondo, al naufragio. Insieme con Ismaele mi sono aggrappato alla bara del ramponiere pagano Queequeg, in attesa che un’altra baleniera, la Rachele, venisse in nostro soccorso. La situazione era più o meno la stessa che

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