Cinque meditazioni sulla morte by François Cheng
autore:François Cheng [Cheng, François]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri editore
pubblicato: 2015-10-27T23:00:00+00:00
Quarta meditazione
Cari amici, nelle precedenti meditazioni abbiamo visto che la vita ha imposto la morte corporale come una delle sue leggi; lo ha fatto affinché la vita sia vita, affinché sia in divenire. Visto che la morte è solo la cessazione di un certo stato di vita, essa non esisterebbe se non esistesse la vita. Paradossalmente la morte corporale, che è ineluttabile, rivela la vita come il reale principio assoluto. C’è una sola avventura, ed è quella della vita. Nulla può più far sì che questa avventura non sia avvenuta nell’universo, e che non continui. Affermando ciò, non penso solo ai credenti di tutte le religioni, che su questa verità non hanno dubbi: mi riferisco a quelli che si attengono semplicemente ai fatti. Penso a Spinoza, secondo cui «l’essenza della vita è eterna». Penso a quei cinesi che non hanno credenze particolari ma hanno fatto loro l’adagio già menzionato: «La vita genera la vita, senza fine». L’affermazione è fondata sull’idea che la Via sia un’avventura in pieno divenire, secondo la legge della trasformazione a dimensioni multiple, che ogni esperienza terrena, invece di essere in pura perdita, possa diventare materia vitale per accedere a un altro ordine di vita.
La vita come avventura in divenire, piena di una virtualità di trasformazione e metamorfosi... Se le cose stanno così, poniamoci infine la domanda che ci preme: e la morte individuale? E quel sogno di una vita eterna che ognuno di noi coltiva in segreto? Che cosa possiamo sperare? Poiché ormai siamo esseri di linguaggio e intelletto, sappiamo che questo interrogativo non potrà trovare risposta nella nostra materia corporale, manifestamente destinata alla decomposizione. Bisognerà allora rivolgersi all’anima, quella parte innegabilmente unica e insostituibile di ciascun essere, capace di assorbire in sé i doni del corpo e della mente? La prospettiva di una sopravvivenza dell’anima è concepibile? Non aspettatevi che risponda a questa domanda con una sentenza, come un giudice. D’altronde nessuno potrebbe farlo, per la semplice ragione che la vita stessa è un’avventura in divenire. La mia è una meditazione, non sto tenendo una lezione universitaria, e con grande umiltà, in vostra compagnia, provo ad avanzare passo dopo passo, attenendomi il più possibile al vero.
Cominciamo riflettendo sull’idea secondo cui, al momento della morte di una persona, la sua anima si libera del corpo e gli sopravvive. È un’idea che continua a es-sere valida in tutte le religioni e vive ancora in numerose culture. Sappiamo, per esempio, che nell’islam il Giudizio universale è considerato l’Evento supremo (al-Waqi’a) che giustifica la Resurrezione come una nuova Creazione; ogni anima, allora, conoscerà la realtà di Dio e il suo proprio valore. Quanto all’induismo, ascoltiamo l’insegnamento di Ramana Maharshi: «L’esistenza di ognuno è evidente, con o senza corpo, nello stato di veglia, di sogno o di sonno profondo. Allora perché voler restare incatenati al corpo? Che l’uomo trovi il suo Sé eterno, muoia, e sia immortale e felice».
Passiamo ora al caso della Cina. Nei tempi antichi, questo popolo relativamente poco religioso credeva istintivamente alla natura perenne dell’anima. D’altronde l’ideogramma hun, «anima», contiene l’elemento che indica gli spiriti o i mani su cui la morte non ha potere.
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