Calder by Riccardo Venturi
autore:Riccardo Venturi [Venturi, Riccardo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Giunti
pubblicato: 2014-06-29T22:00:00+00:00
1937-1976: Verso unâarte pubblica
Il nome âmobilesâ fece fortuna e finì per ispirare anche Arp che, riferendosi ai lavori non motorizzati esposti alla galleria Percier nel 1931, disse a Calder: «Ebbene, se questi sono i mobiles, come le chiamerai quelle cose che esponevi lâanno scorso, si trattava forse di stabiles?». Un nome puntualmente adottato dallâartista per le opere in cui il movimento era in potenza, il potenziale della scultura piuttosto che una sua proprietà come nei mobiles. Stabiles si rivelò presto un termine abbastanza duttile da includervi anche le grandi sculture in acciaio degli anni Sessanta, quando le loro dimensioni si fanno monumentali e le commissioni pubbliche e private si moltiplicano. Un processo cruciale dellâarte di Calder, già intravisto nel 1937 alla galleria Pierre Matisse di New York, dove lâartista espone per la prima volta Devilfish e Big Bird, e ripreso nel 1949 alla Terza esposizione internazionale di scultura a Filadelfia, in cui presenta lâambizioso International Mobile, che misura più di sei metri per sei.
A cambiare non sono solo le dimensioni delle sculture, fino allora a grandezza umana, quanto lo stesso rapporto di scala, attraverso lâuso della âmaquetteâ. Per esempio, la scultura .125 (1957), tredici metri e mezzo dâaltezza â allâaeroporto JFK di New York â, è ricavata da un modello di appena quarantatre centimetri, laddove The Whirling Ear â sita allâesterno del padiglione degli Stati Uniti alla Fiera mondiale di Bruxelles del 1958 â è alta circa sei metri a partire da un modello di circa trenta centimetri. Lâimportanza della scala corre parallela alla monumentalità delle opere, almeno a partire da Teodelapio (1962), commissionatagli da Giovanni Carandente per il Festival dei due mondi di Spoleto e ancora oggi sullo spiazzo davanti alla stazione. à a questo tipo di sculture che Calder consacra gli ultimi ventâanni di attività , realizzandone più di trecento, semplificando progressivamente le forme, grazie alla padronanza assoluta nel maneggiare e bilanciare i diversi elementi, nel distribuire pesi e contrappesi senza rinunciare alle loro caratteristiche e anzi rendendo più perspicua la loro vitalità . Che la semplicità sia solo apparente, risultato di un paziente processo dâelaborazione, lo si deduce dai disegni preparatori o dallâindispensabile presenza dellâartista in fase di allestimento delle opere.
«La mia opera può esser diventata un poâ più strutturata, ma lâidea generale è la stessa», affermava Calder. La monumentalità ne modificò pertanto il modo di produzione: se non volle mai servirsi della collaborazione di un assistente, non poté però rinunciare alla fabbrica per manipolare i materiali industriali. «Nel 1958, avevo tre fonderie che lavoravano per me, due a Waterbury [Connecticut] e, a una quindicina di chilometri di distanza, una a Watertown. Quando guidavo da una allâaltra mi sentivo come un businessman di fama». A queste si aggiungerà , nel 1962, quella di Biémont a Tours, in Francia, con cui realizzerà ben centotrentasette opere. Allâaspetto artigianale del lavoro artistico subentra così quello meccanizzato dellâindustria anche se, a differenza di quanto avverrà sin dagli anni Sessanta con il minimalismo, è assente una divisione puntuale tra spazio dellâatelier e spazio industriale. Due spazi che, nel caso di Calder, si contaminano e finiscono per sovrapporsi.
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