Le arti multimediali digitali by Andrea Balzola & Anna Maria Monteverdi

Le arti multimediali digitali by Andrea Balzola & Anna Maria Monteverdi

autore:Andrea Balzola & Anna Maria Monteverdi [Balzola, Andrea & Monteverdi, Anna Maria]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Garzanti
pubblicato: 2011-03-02T23:00:00+00:00


8. Dall’installazione al teatro e ritorno: Motus

Motus è uno dei gruppi di punta della cosiddetta generazione Novanta, o terza ondata, fenomeno esploso agli inizi degli anni Novanta, in spazi underground, in circuiti alternativi, extrateatrali decentrati in centri sociali o spazi occupati (Link a Bologna, Interzona a Verona). Si impongono per il forte impatto visivo e la carica trasgressiva: Motus, Fanny e Alexander, Teatrino Clandestino, Masque Teatro (quattro gruppi romagnoli, cresciuti sulla scia di Socìetas Raffaello Sanzio e Albe-Ravenna Teatro), Accademia degli Artefatti.366 È un teatro legato a un vero culto dell’immagine, che si esprime in una poetica dall’eccesso di visione: una visione mediatizzata (televisione, video, cinema, pittura e fotografia) si accompagna a una ossessiva indagine sulle tematiche di un corpo (postorganico, cyber, fagocitato nell’intero meccanismo tecnologico) mostrato, violato, nei suoi aspetti estremi di violenza e di sesso. Con le loro installazioni, performance e spettacoli, i Motus richiamano Warhol, DeLillo, Cocteau, Easton Ellis, Nick Cave, Abel Ferrara, Gus Van Sant. Le loro strutture sceniche, territori esistenziali di confine, architetture di piacere. Il tema del teatro come sguardo e la ricerca di particolari dispositivi di visione (dispositifs à voir) è una delle costanti del gruppo riminese fondato da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò. Uno sguardo che viene catturato in scena da una fotocamera in Catrame (1996), che guarda a Crash di Ballard-Cronenberg. Un corpo rinchiuso in teche di plexiglass e costretto in una struttura circolare in movimento in Orlando furioso (1998), la trasgressiva rivisitazione sadomaso del capolavoro di Ariosto che li ha imposti all’attenzione del pubblico. Con i Motus lo spettacolo nasce dapprima come installazione, come scultura scenica: protagonista è il luogo come dispositivo che si impone con le sue grandi proporzioni nello spazio dell’architettura del teatro. Orpheus Glance (2000) nasce come installazione muta, i personaggi nient’altro che manichini di una favola-mito-fotoromanzo-fiction, inseriti in teche-finestre: la prima fase del Progetto Orpheus è testimoniata nella rassegna Teatri90 da Étrange (Être-ange), un gioco di parole tra «essere angelo» e «estraneo» che prevedeva teche di vetro a specchio che si illuminavano generando visioni pulsanti e intercambiabili tra attori e spettatori. Scrive Oliviero Ponte di Pino che «è in questo gioco di sguardi e trasparenze, nel continuo slittamento tra vicinanza e distanza, in cui il pubblico è coinvolto e protagonista, che si costruisce il fascino della situazione. Le finestre specchio di questa scuola dello sguardo rimandano lo sguardo dello spettatore che incontra per un attimo se stesso». Nella versione finale i manichini prendono la parola: la voce. Orfeo, dio «fonocentrico» secondo i Motus, in questo «disorientamento temporale» del mito, è Nick Cave (interpretato dall’attore-cantante Dany Greggio), abita in un appartamento a New York, ripensa a Euridice che ha perso per sempre e che è un sogno lontano come i paesaggi-cartolina proiettati. La scena di Orpheus Glance è invasa da una struttura a due piani: è la casa di Orfeo, che ospita le sue memorie passate e il suo presente quotidiano; ma è anche il regno dell’Ade abitato da un enigmatico Lucifer (l’angelo Heurtebise dal film Orphée



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