Maledetta Sarajevo. Viaggio nella guerra dei trent'anni by Francesco Battistini & Marzio G. Mian

Maledetta Sarajevo. Viaggio nella guerra dei trent'anni by Francesco Battistini & Marzio G. Mian

autore:Francesco Battistini & Marzio G. Mian [Battistini, Francesco & Mian, Marzio G.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Il delitto della porta

Han Pijesak, Bosnia centrale

La divisa del generale profuma di bucato, le maniche ripiegate con cura fino ai bicipiti. Si siede su un divanetto verde anni Cinquanta con i gomiti sulle ginocchia. Ordina due arance, davvero preziose in tempo d’embargo. Siamo nella tarda primavera del 1995, Ratko Mladić sta concentrando le sue truppe tra Žepa e Srebrenica. Racconta che tra i bunker di Tito questo di Han Pijesak, oltre che uno dei cinque anti-atomici, era anche il più rifornito: «In cantina c’è ancora qualche buona bottiglia. Qualche giorno fa, abbiamo stappato l’ultima di Barolo». Estrae dallo stivale un pugnale, con la naturalezza di chi pesca la stilografica dal taschino della giacca. Ha mani curate e robuste, con una tiene l’arancia a coppa e con l’altra ne incide la buccia con la punta del pugnale a spicchi regolari, finché s’aprono tutt’insieme con la grazia d’un fiore che sboccia, lasciando la sfera della polpa bianca e asciutta. Quindi v’infila appena la punta della lama d’acciaio lucente, sulla quale scivola un rivolo di succo, e porge il frutto all’ospite.

Parla subito della guerra: «La faccio per forza maggiore, non l’amo e avrei preferito finire la mia carriera di militare senza conoscerla. Fino a sette anni fa, ero certo d’andare in pensione molto annoiato. Fosse per me, proibirei anche le armi giocattolo». «Mi sarebbe piaciuto diventare medico, come si vede sarei stato un super chirurgo...» dice, allargando un sorriso raggelante che si spegne in un secondo. È un uomo massiccio, fisico da rugbista. Intimidisce perché conferma l’immagine che di lui ci hanno consegnato le sue azioni spietate. Ha la violenza impressa fin nel nome, rat vuol dire guerra. Quando parla usa lo sguardo come un mirino, punta con precisione gli occhi grigi su quelli dell’interlocutore; il volto è arrossato dal sole del campo di battaglia, ma anche dalle braci della rabbia che sembra covare sotto la pelle insieme con un senso di generale disprezzo del mondo che lo porta a stringere la morsa delle mascelle e ad arricciare il labbro superiore. Pare che fino al marzo ’94 – prima cioè della morte di Ana, la sua bellissima figlia suicida all’età di ventitré anni con la pistola preferita del padre – fosse un’altra persona, un generale che fa il suo brutale lavoro ed esegue gli ordini di chi sta sopra di lui, cioè Milošević; poi è diventata una questione personale. Poteva mollare oppure usare la guerra come terapia, la morte e il sangue per sfregiare la vita, ed è ciò che ha scelto. Se prima combatteva croati e musulmani, ora i “turchi” li vuole sterminare. E sfida Clinton, la Nato, i propri demoni.

Mentre parla, sfoglia carte scritte in cirillico e le firma, ma non si crede Napoleone. Dice d’ammirare di più Alessandro Magno e Annibale, «geniale difensore del suo popolo contro una potenza mondiale». Sullo scaffale ci sono Émile Zola, Hermann Hesse, Carl von Clausewitz e Heinz Guderian, il comandante delle Panzer Division. Vuole parlare dell’Italia, gli sta a cuore non solo per il



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