Nietzsche, il politeismo e la parodia by Pierre Klossowski
autore:Pierre Klossowski [Klossowski, Pierre]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2019-08-07T16:00:00+00:00
Ho il sospetto che, in questo bellissimo passo, Nietzsche abbia definito in via negativa il suo modo di comprendere e di conoscere; ridere, lugere, detestari – ridere, piangere, detestare sono tre modi di comprendere l’esistenza. Ma che cos’è una scienza che ride, che piange, che odia? Una forma di conoscenza patetica? Il nostro pathos conosce, ma noi non possiamo mai condividere il suo modo di conoscere. Per Nietzsche ogni atto intellettivo non sarebbe altro che una risposta alle variazioni di uno stato d’animo; ora, attribuire un carattere di valore assoluto al pathos equivale a distruggere con ciò stesso la nozione di imparzialità del conoscere, laddove era a partire dal grado di imparzialità acquisito che si revocava in dubbio l’imparzialità stessa. Che ingratitudine verso il conoscere sconfessarlo dopo che ci ha fatto capire che non possiamo conoscere! Un’ingratitudine da cui nascerà una nuova imparzialità; ma nell’assoluta parzialità. Se, infatti, le conclusioni logiche non sono altro che la lotta degli impulsi tra di loro – lotta che non può concludersi se non nell’iniquità –, aspirare a una maggiore parzialità significherebbe dunque osservare la suprema giustizia.
Se il pensatore, come dice Nietzsche, se il pensatore è l’essere in cui coabitano e si combattono l’istinto della verità e gli errori che conservano la vita, e se il problema che si pone è però quello di capire se la verità tollera di essere assimilata, se questa è l’esperienza ormai da fare, cerchiamo allora di vedere adesso in che senso il pathos è capace di questa assimilazione in quanto apprensione dell’esistenza; poiché l’atto intellettivo è ormai svalutato, dal momento che non si produce se non mediante un supremo sfinimento, allora perché non annoverare, ad esempio, l’ilarità e la serietà, la collera e la serenità, fra gli organi del sapere? Dal momento che la serietà è una condizione incerta quanto l’odio o l’amore, perché l’ilarità non dovrebbe possedere una virtù d’apprensione dell’esistenza evidente come quella della serietà?
L’atto di conoscere, di giudicare, di concludere non sarebbe altro che il risultato di un comportamento degli impulsi nella loro interazione. Non solo: il pensiero cosciente, e in particolare quello del filosofo, il più delle volte non esprimerebbe altro che una caduta, una depressione provocata da una terribile tenzone fra due o tre impulsi contraddittori il cui esito sarebbe qualcosa di intrinsecamente iniquo; ciò significa che il filosofo, o il pensatore, o il saggio in senso nietzschiano, deve adottare lo stesso comportamento contraddittorio degli impulsi nella loro interazione, e pronunciarsi sempre e solo attraverso una dichiarazione che tenga conto di due o tre impulsi simultanei, con ciò rendendo conto dell’esistenza appresa attraverso il rapporto tra questi due o tre impulsi?
Se l’atto di comprendere qualcosa è sospetto a tal punto che si pronuncia sempre e solo attraverso l’eliminazione di uno o l’altro dei tre impulsi che hanno concorso, in misura diversa, alla sua formazione, se comprendere non è altro che un armistizio precario fra le oscure forze a confronto, allora, per quello scrupolo di integrità che guida l’investigazione di Nietzsche, al fine di
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