Pier Paolo Pasolini by Murri Serafino
autore:Murri, Serafino [Murri, Serafino]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00
La grandezza, e la forza di Teorema, più che di ogni altro film pasoliniano, che gli hanno guadagnato l’incomprensione pressoché totale (salvo alcune entusiastiche ma altrettanto faziose crociate in favore) degli effettivi destinatari intellettuali dell’opera, consistono nell’aver creato una struttura irriducibile ai parametri di giudizio di tutte la forze esistenti, borghesi o antiborghesi che siano, di aver espresso un’utopia negativa, non la proposizione di un ennesimo modello razionale della società dei consumi, magari un po’ più socialistico, ma una possibilità di rifondazione del modo di vedere, di conoscere, di convivere. A suscitare la maggior parte delle polemiche è proprio il discorso su cui si struttura la visione palingenetica della rivoluzione per Pasolini: il senso del sacro. Soprattutto per la critica militante, il grande livello di ambiguità, contraddittorietà, dialetticità sollevato dall’aver connesso uno dei cardini del ‘movimento’ politico, la liberazione sessuale, ad uno dei cardini millenari delle chiese secolari, il senso del sacro, diventava il segno tangibile di un’abdicazione decadente e reazionaria rispetto all’immagine, già intaccata, di un Pasolini “intellettuale marxista”. La definitiva condanna della borghesia coincide così paradossalmente con la definitiva condanna delle forze ad essa antagoniste: negare l’identità dell’una corrisponde, infatti, a negare l’identità (e il ruolo storico) delle altre. La frizione tra Pasolini e il Movimento, dunque, perviene con Teorema (coevo alla celebre poesia Il PCI agli studenti! sugli scontri di Valle Giulia in cui dichiarava che i veri proletari erano i poliziotti, e non gli studenti borghesi) al massimo della violenza.
Eppure, lo sforzo espressivo di Pasolini è tutt’altro che irrazionalista, tutt’altro che reazionario e mistico: infatti, va a toccare le basi concettuali di una cultura che del proprio mezzo, la ragione illuministica, aveva fatto la gabbia in cui imbalsamare definitivamente, con tutto il carico di ingiustizia presente, la società nei suoi schemi irremovibili, nei suoi antagonismi tutti interni ad essa. Una società che si vuole sicura e stabile nel suo “illuminismo” democratico, in cui la rivoluzione stessa (politica, morale, artistica) diventa lo sbocco naturale della noia esistenziale profonda della classe dominante, e non la necessità dell’affermazione di qualcosa di differente, di altro, di ciò che è escluso dalla dialettica servopadrone (inattaccata) su cui tale società si fonda. Ma quanto più la borghesia cerca di trarsi fuori dal proprio disfacimento, e tanto più dunque percorre fino in fondo la strada velleitaria dell’allontanamento da se stessa verso l’Altro, tirandosi su per il proprio codino come il barone di Münchausen, cercando in se stessa l’impeto rivoluzionario (che trova la sua più compiuta espressione nella “maniera” barricadiera dei figli dei borghesi), in modo tale da rilegittimarsi dopo una “palingenesi” delle sue forme, tanto più essa è destinata a vagare nel deserto stesso della sua reificata spiritualità, spazio vuoto, privato di ogni consistenza, in cui l’unica espressione consentita è informe, bestiale, disperata: un grido d’impotenza.
Ora, analizziamo il tanto contestato senso del “sacro”, di cui Pasolini scorge la nascita nella incapacità borghese di «vedere nella natura la naturalezza», e che rappresenta (al contrario di quanto sostenevano i suoi detrattori) «la parte dell’uomo che
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