Scoperte e rivelazioni by Vittorio Sgarbi

Scoperte e rivelazioni by Vittorio Sgarbi

autore:Vittorio Sgarbi [Sgarbi, Vittorio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2023-05-14T22:00:00+00:00


Francesco Cairo, Erodiade, Palazzo Anguissola Scotti, Piacenza

Francesco Cairo

Erodiade

Nell’universo sterminato di immagini conosciute, sommerse, emergenti, della storia dell’arte, può accadere che alcune opere tante volte viste, e riconosciute, in Palazzo Anguissola Scotti a Piacenza, risultino inedite ai repertori, nonostante l’eccellenza e l’evidenza. Tra di esse è l’Erodiade di Francesco Cairo (olio su tela, 121×96 cm), probabilmente da identificare con quella vista da Luigi Scaramuccia proprio a Piacenza, nel convento di San Savino, e ricordata nelle Finezze de’ pennelli italiani, pubblicato nel 1674, a pochi anni dalla morte del Cairo (Milano, 1607-1655). La testa del Battista su un piatto d’argento con borchie dorate e pietre preziose è posata su una spada con l’elsa d’oro e la lama insanguinata, e ripete, in controparte, quella, solitaria, in un dipinto di collezione novarese, esposto nella mostra del Cairo a Varese nel 1983. Per il resto la composizione è di notevole interesse perché assolutamente originale e diversa da ogni altra del soggetto molte volte ripetuto dal pittore. Erodiade appare in deliquio nelle versioni di Vicenza, di Torino e di New York, dove ha la testa reclinata verso sinistra e la mano che si avvicina al Battista con l’indugio di una cieca. Nella versione di Boston la testa è reclinata verso destra, mentre le dita stringono la lingua del santo. Nel dipinto di Piacenza Erodiade non tocca la testa del Battista, ma se ne allontana con un gesto ampio del braccio, sotto il vertiginoso panneggio, osservando l’inutilmente amato con distacco e alterigia, senza abbandono e inclinando leggermente il capo. La difformità sul piano psicologico è evidente. Erodiade non è vittima di una passione insoddisfatta, ma resta regina. Francesco Cairo fu allievo del Morazzone, nel cui pensiero si inscrive ancora questa Erodiade, le cui vesti si gonfiano in pieghe taglienti come nel maestro, dipinta probabilmente prima del trasferimento a Torino, alla corte dei Savoia, al tempo della peste di Milano del 1630. Nella mente dell’artista l’immaginario femminile è dominante e prevalente. È con la sua vita libertina, infatti, che il Cairo desta scandalo alla corte del duca Vittorio Amedeo I, per la convivenza con la figlia di tale Filippo Pelignino. Né il matrimonio con Ludovica Piossasco di Scalenghe, che gli darà nove figli, correggerà la sua morbosa attrazione per le situazioni peccaminose, così evidente, sul piano psicoanalitico, nella pittura. Pellegrino Orlandi, nell’Abecedario pittorico del 1704, registra tre maniere del pittore: “La prima è quella del maestro, con forte colore; la seconda, più dolce, acquistata in Roma; la terza, di gran fondo, e sapere, riportata dalle opere di Paolo Veronese, e di Tiziano, in Venezia.”

È chiaro che questa Erodiade precede il viaggio romano, e prescinde dalla conoscenza di Pietro da Cortona e di Guido Reni, di Lanfranco e di Guercino, sicuramente conosciuti e studiati a Roma. È invece tutta lombarda, disegnata senza dolcezza, persino severa, e di plastica eleganza, la sua Erodiade, probabilmente la madre di tutte le Erodiadi, prima della languida macerazione delle altre versioni, dove il peccato si consuma, e dove, anche da morto, il Battista è posseduto.



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