Aurora Boreale - Severni Sij by Drago Jančar

Aurora Boreale - Severni Sij by Drago Jančar

autore:Drago Jančar [Jančar, Drago]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 978-88-452-6006-3
editore: Bompiani
pubblicato: 2008-03-14T23:00:00+00:00


72

All’improvviso, ho avuto la sensazione di non sapere più dove fossi. Una casa nei pressi del parco era del tutto simile a un’altra di Vienna, o forse di Lienz, non so. Poi a un tratto mi sono ritrovato in pieno centro, e dovevo avere qualcosa di strano, non so cosa, ma ho notato che la gente cercava di evitarmi. Davanti al bar Espresso all’angolo con via Slovenia, c’era Tondichter. Appena mi ha scorto, è letteralmente fuggito nel locale. L’ho visto attraverso la vetrata, mentre spiava con circospezione la strada da dietro una pianta, una di quelle piante che prosperano in luoghi chiusi e caldi. Poi rieccomi guardare di nuovo attraverso un vetro, ma stavolta quello dell’orfanotrofio gestito dalle suore scolastiche. Le cuoche mi osservavano parlottando tra loro. Non udivo nulla, ma le vedevo muovere la bocca. Forse mi avevano preso per un accattone che implorava silenziosamente un po’ di cibo. Ridacchiavano, anche, ma senza produrre alcun suono. In biblioteca non mi hanno lasciato entrare. Prima fatevi passare la sbornia, ha detto una signorina, e lavatevi. Poi potrete entrare. Ma io non ero ubriaco. Mi sono agguantato la patta dei pantaloni e ho detto: Va’ a farti fottere. Si è infuriata. Voleva chiamare la polizia. È spuntato fuori un tipo tarchiato con i baffetti spuntati. Si può sapere cosa volete? ha detto con voce profonda, da basso.

Non so come, a un certo punto mi sono ritrovato all’Abissinia. Glavina era nella sua stamberga, a bere šmarnica e fumare in compagnia del solito amico smilzo dal viso scuro. Volevo rivedere quel posto, volevo rivederlo con gli occhi del giorno. Con quelli della notte, era tutto diverso. Volevo vedervi lo scorrere della vita quotidiana. Odorare quel lezzo. Vedere come Glavina, vestito di tutto punto e con dei grossi calzerotti ai piedi, se ne sta sdraiato sul nostro letto. Come fruga nella credenza e sbriciola un pezzo di pane. Sentire il gocciolio della neve che si scioglie sul tetto. Il vento che sibila attraverso le fessure delle finestre. Nella stanza accanto, stanno facendo un putiferio a causa di un caffè traboccato dalla tazza perché qualcuno ci ha spezzettato troppo pane. Il suo scuro amico, Markoni, ha il vestito a righe. Il suo amico ha dita affusolate, con cui spegne il mozzicone in un vasetto metallico ed estrae dalla tasca il portasigarette d’argento. Ho fumato le sigarette del suo portasigarette d’argento. Glavina ha fatto dello spirito sul conto mio e di Marjeta, sul conto di noi due. L’altro è stato perlopiù zitto. Neanch’io ho parlato granché. Dopo avere finito il mio bicchiere di vino, andandomene, ho notato il rigagnolo d’acqua di scarico su cui era scivolata. Era quasi caduta, aveva fatto appena in tempo ad aggrapparsi nervosamente a me.

Sono andato a Lent e ho cercato Fedjatin. Non c’era. Per un istante ho pensato che se ne fosse andato. Ma lui non può andarsene. È arrivato qui e neanche lui sa dove realmente si trovi. Sa solo che il suo Povolžje è molto, molto lontano. Non ci tornerà mai più.



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