Buttafuoco Pietrangelo - 2014 - Buttanissima Sicilia by Buttafuoco Pietrangelo

Buttafuoco Pietrangelo - 2014 - Buttanissima Sicilia by Buttafuoco Pietrangelo

autore:Buttafuoco Pietrangelo [Buttafuoco Pietrangelo]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
ISBN: 9788845277955
editore: BOMPIANI
pubblicato: 2014-07-01T22:00:00+00:00


Il procuratore aggiunto della procura di Palermo Antonio Ingroia è andato al congresso dei comunisti italiani e fin qui va bene. Peggio sarebbe stato se fosse andato da qualche mezza sega di una qualsiasi sinistra. Preso dall’entusiasmo però il dottore s’è lasciato andare proclamandosi “partigiano”, “partigiano della Costituzione”. Tutti si sono scandalizzati ma una dichiarazione di più specchiata coerenza il dottore Ingroia non poteva non farla. Nel pantheon della Resistenza e dell’antifascismo, infatti, i veri padri della patria sono don Calogero Vizzini, Lucky Luciano e Genco Russo. Se non intervenivano questi galantuomini a dare una mano ai ’miricani, non ci sarebbe stata la Costituzione, la democrazia e in Sicilia, con la Carta del Carnaro e i diciotto punti di Verona della socializzazione, manco più la mafia oggi potrebbe esserci. Motivo per cui un poco di gratitudine di mestiere Ingroia la deve avere. “Non mi sento imparziale,” ha detto. E certo, ragione ha: annunca ci porta offesa alla memoria di don Calò e della Costituzione tutta.

Questo fatto di Antonio Ingroia che non potrà più fare l’esattore in Sicilia per il no del Csm fa scivolare sempre di più la vicenda in un piccolo capitolo della commedia all’italiana. Quel poveretto, dunque, scornato alle elezioni, deciso a non tornare più al suo mestiere, si prende un posticino qualunque grazie alla lungimirante misericordia di Rosario Crocetta e quelli, invece, i suoi colleghi magistrati, gli uccidono sul nascere il desiderio di fare lo sceriffo delle tasse, costringendolo ad andare dove proprio non vuole andare: ad Aosta. Finì come Totò trasferito in Sardegna. Duole ammetterlo ma aveva ragione quello, il capocomico Silvio: “Dovrà accontentarsi d’intercettare gli stambecchi.”

Stavo pensando a una targa. Quella che il procuratore capo della procura di Aosta aveva provveduto a far realizzare per accogliere il magistrato più importante d’Italia, l’erede di tutte le più sante e più giuste battaglie per la legalità, l’eroe purissimo della mai doma virtù civile, insomma: Antonio Ingroia. E in tutto questo mi stavo domandando cosa ne avranno fatto, ad Aosta, di questa targa, fotografata da tutti, raccontata dai giornali e dai tiggì quale totem di un esito – il ritorno in magistratura – ne avranno fatto un ex voto? In tutto questo gli stambecchi, grati, posero.

In tutto questo parlare di Totò Riina, il Capo dei Capi intercettato durante l’ora d’aria in carcere, una cosa salta agli occhi, anzi, all’ascolto. Non nomina mai, manco di striscio, Antonio Ingroia. Ed è proprio strano anche perché Ingroia fu il suo nemico numero uno, nonché ermeneuta della trattativa Stato-mafia, titolare della sempreverde questione delle questioni su cui mettere in scacco il male (fosse pure Giorgio Napolitano), a maggior gloria del bene: Ingroia, appunto. Quanto ne sa lui, sul tema, nessuno. Riina però minaccia tutti, parla di tutti – di Silvio Berlusconi poi, ne descrive un tratto in particolare (quello lì) – parla anche del bacio con Giulio Andreotti, parla perfino dell’“agenda rossa” che si rivelò poi un parasole, ma mai e poi mai, pur in fruttuoso colloquio col collega della Sacra corona unita, si lascia scappare una parola su quello che fu la bandiera della legalità e della giustizia.



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