Il vaso di pandora by Luigi De Pascalis

Il vaso di pandora by Luigi De Pascalis

autore:Luigi De Pascalis [Luigi De Pascalis]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2023-03-08T23:00:00+00:00


Il parroco di llerena

Il 1969 non fu solo l'anno del primo uomo sulla luna ma anche, molto più modestamente, l’ultimo del mio corso di studi universitari.

L’interesse per alcuni aspetti dell’arte rinascimentale portoghese, e segnatamente per l'opera di Nuno Gonçalves, mi aveva fatto ottenere una borsa di studio dalla Fundação Calouste Gulbenkian di Lisbona. E ciò mi permise di trascorrere i mesi estivi a studiare l'opera più famosa di Gonçalves, il Polittico di Sào Vicente, e a fare amicizia con borsisti provenienti da tutta Europa.

C’era fra loro uno svizzero di madre spagnola, Mathias si chiamava, che studiava filologia e si occupava di certe radici basche innestatesi chi sa come e quando in alcuni dialetti dell’Algarve, magnifica regione del Portogallo meridionale.

Mathias era allegro e deciso. Nel suo carattere si fondevano il meglio della vitalità spagnola e della determinazione dei valligiani svizzeri. In sua compagnia avevo trascorso alcune divertenti serate a bere sangrilla e ad ascoltare fado in certi locali poco raccomandabili dell’Alfama, il quartiere più popolare di Lisbona.

Alla fine di agosto, dopo la chiusura dei corsi, i borsisti si prepararono a tornare a casa.

Mathias e io avevamo ancora alcuni giorni liberi e qualche piccolo risparmio, così decidemmo di utilizzarli per compiere un largo giro sulla via del ritorno, puntando prima a sud, su Setubal e Faro, fra la gente di cui Mathias studiava i dialetti, e poi di nuovo a nord, verso Evora.

Avremmo varcato la frontiera portoghese all’altezza del lembo meridionale dell’Estremadura. Saremmo poi passati attraverso la Castiglia, unica parte della Spagna sconosciuta al mio compagno di viaggio. Quanto a me, avrai raggiunto con lui Zurigo e da lì sarei tornato a casa in treno.

Lasciammo Lisbona il 28 agosto di quell’anno.

La nostra auto, una vecchia e asmatica Citroen Deux Chevaux rossa, era colma alla rinfusa di libri, vestiti, oggetti ricordo e ogni altra cosa che avevamo ritenuto utile portarci dietro. Ma, rispetto all’esigua potenza del motore, il carico era tale che la macchina arrancava al primo soffio di vento contrario.

I soldi che avevamo a disposizione per quel viaggio non erano molti, così cercammo di risparmiare il più possibile su cibo e alloggio. Spesso mangiammo frutta rubacchiata nei frutteti incontrati lungo il cammino e formaggio comprato dai pastori che incrociavamo intorno ai villaggi dell’Algarve e dell’Alentejo. Quanto a dormire, le prime notti le passammo in macchina, in aperta campagna.

Un pomeriggio, era già il quinto o sesto giorno di viaggio, varcammo il confine portoghese nei pressi della Sierra de Ossa e entrammo in Castiglia, nella bassa Estremadura, a pochi chilometri da Jerez.

Il paesaggio era una piana silenziosa interrotta qua e là da grandi rocce sagomate dal vento in forme quasi surreali. Anche la vegetazione era scarsa e la pianura sarebbe stata d’estrema monotonia se, di tanto in tanto, all’improvviso, non fosse stata attraversata da piccole gole e valli alluvionali lungo le quali la strada correva sempre dritta e uguale.

Le prime ombre della sera ci sorpresero alle porte del borgo di Llerena, una manciata di case bianche al centro di quella specie di deserto. Pochi chilometri più oltre c’era Badajoz, città che sapevamo vantare un albergo nuovissimo.



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