La morte a colori by Gianluca Morozzi

La morte a colori by Gianluca Morozzi

autore:Gianluca Morozzi [Morozzi, Gianluca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fernandel
pubblicato: 2023-11-02T23:00:00+00:00


Intermezzo

Non girarti

Felice Venturi

Ah, hai aperto gli occhi, bene.

Non girarti.

Non girare la testa, intendo. Non girarla verso la tua destra, per essere precisi. Quell’oggetto che vedi con la coda dell’occhio è un bisturi, ed è a un centimetro dal tuo bulbo oculare. Capisci perché non devi girare la testa?

Ma tu mi hai riconosciuto! L’ho capito da come si è illuminato il tuo sguardo quando mi hai messo a fuoco. E nonostante il tempo trascorso! Davvero sorprendente.

Lo so: credevi che fossi morto. Lo credono tutti. Hai letto gli articoli, hai visto le foto, forse anche quei documentari, i film che ricostruivano la mia parabola artistica… chissà, forse possedevi i miei dischi. Almeno uno, il più famoso: quello ce l’hanno tutti. O comunque lo hanno ascoltato tutti almeno una volta. Una pietra miliare, un capolavoro della musica, bla, bla, bla…

Sai cosa mi sembra, quell’album, se lo riascolto, cosa che non faccio mai? Sai come mi suonano quelle canzoni, se mi tornano per sbaglio alla mente?

Vagiti. Nient’altro che vagiti.

Lallazioni, al massimo. Suoni prodotti da un bambino come quello in copertina.

Sì, perché quando riproducevo quelle miserie sonore sul palco e la gente cantava insieme a me le parole che avevo scarabocchiato su un quaderno, e a volte le cantava in lacrime, o esaltata, o grata, addirittura – grata! Ti rendi conto? – io già sentivo, già sapevo che potevo fare di più. Molto di più. Che la musica, la vera musica, non era quella.

Perché io, il suono di Dio, lo sentivo.

Ce l’avevo incastonato qui, nella testa. Come un prurito in un punto impossibile da grattare, se puoi perdonarmi il paragone infelice. Era lì. Da qualche parte. La musica di Dio. E non era il rumore che stavo producendo con la mia chitarra, tra le urla del pubblico ignorante che si beava delle mie vergogne.

Era qui. Qui dentro. Ma non sapevo come riprodurla.

Gli altri pensavano che fossi impazzito. Gli altri: quelli che suonavano con me, il mio manager, mia moglie. «Ma cosa vuoi di più?», dicevano. «Sei famoso, sei ricco, il pubblico ti ama e le tue canzoni le cantano in cinque continenti… Piuttosto pensa al nuovo disco, pensa al nuovo tour…»

Non capivano. Nessuno capiva. Non avevano un prurito qui, dentro alla testa.

Ho usato le droghe, sì, certo. Che banalità, vero? Il musicista che cerca di allargare la propria sfera creativa usando sostanze psicotrope…

Amico, quando non riesci a grattarti e stai impazzendo, fidati, proveresti qualunque cosa pur di alleviare quel fastidio.

E un giorno ho capito. Ho capito dov’era l’errore.

Le chitarre, le tastiere, le corde d’acciaio o di nylon, i tasti d’avorio, di ebano, di galalite…

Cosa c’entra Dio con l’acciaio o la galalite? Come si può ricondurre Dio a quella materia volgare modellata per generare delle note?

Era la materia il problema. Dio è nell’aria, Dio è energia, Dio è immateriale.

E allora ho iniziato i miei esperimenti.

Prima di tutto ho messo in scena la mia morte. E mentre il mondo piangeva la mia scomparsa in una sorta di lutto collettivo, con la mia faccia stampata sulle magliette, io mi ritiravo su un’isola.



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