Memorie di un’orologiaia by Rebecca Struthers

Memorie di un’orologiaia by Rebecca Struthers

autore:Rebecca Struthers [Struthers, Rebecca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Garzanti
pubblicato: 2024-01-12T23:00:00+00:00


Molte persone abituate come me alla malinconia della domenica sera possono testimoniare che il ritmo della settimana lavorativa influenza la nostra percezione del tempo, anche quando non stiamo lavorando. Nel 1937, uno studio innovativo sulla vita nella città di Bolton, nel Lancashire, denominato Worktown Project, ha osservato che i lavoratori «aspettavano con ansia» la fine delle ferie, tanto quanto la fine della settimana lavorativa. «Attendevano sempre con apprensione la conclusione di un determinato periodo», si legge nello studio, e non potevano «sfuggire… al tempo» nemmeno durante le ferie estive.III

Nel 1954 Philip Larkin protestava: «Perché dovrei lasciare che il rospo chiamato lavoro / si accovacci sulla mia vita?». Come Larkin, non sono mai stata felice come impiegata. A differenza di alcuni operai, ho avuto la possibilità di seguire i miei entusiasmi e nel corso della mia carriera sono stata sostenuta da persone intelligenti e generose. Ma ci sono stati anche momenti difficili. La verità è che ho sempre trovato stressante lavorare per gli altri. Anche quando non si trattava di un lavoro faticoso o ripetitivo, ho lottato con i codici e i compromessi incomprensibili sul posto di lavoro, sia che si trattasse dell’obbligo di esibirsi come oggetto decorativo e intrattenere i collezionisti di una casa d’aste di alto profilo, sia che si trattasse di negoziare le regole sociali implicite delle persone più ricche del mondo. Ma soprattutto, era la sensazione di lavorare sotto qualcuno, la sensazione del potere di quel qualcuno sul mio tempo, anche quando non ne era consapevole. Una cattiva gestione e obiettivi sempre diversi facevano sì che il lavoro e le preoccupazioni del lavoro monopolizzassero anche la mia vita extralavorativa. Mi sembrava di non avere sotto controllo il mio tempo e ciò mi ha portato a un punto di rottura.

Nel 2012, una mattina mi sono svegliata e sono scoppiata a piangere. Tremavo, non riuscivo a respirare, a parlare, a muovermi. Mi sembrava che qualcuno stringesse il mio cuore in un pugno. È stato il mio primo attacco d’ansia. Sapevo di non poter andare avanti. Ero un’anomalia nel mondo dell’orologeria, un ancoraggio squadrato che non si adattava, e lo sforzo mi distruggeva. Mi hanno sospeso per stress. Craig, che odiava vedermi in quello stato, mi disse che era ora di smettere. Ma non voleva che buttassi al vento la mia carriera. Aveva un’altra idea. Era già stato un lavoratore autonomo in passato, quindi forse non era così azzardato per lui che provassimo a ottenere un prestito e metterci in proprio. Essere i capi di noi stessi. L’attrattiva fu immediata e consisteva nel fatto di non dover più affidare le mie giornate a qualcun altro, di poter operare secondo la mia «logica del bisogno», per dirla con E.P. Thompson.

Avviare l’attività è stato il mio modo di combinare la vita lavorativa con quella domestica: non è sempre facile, lo ammetto. Tutte le piccole imprese sono un’estensione dei proprietari, il che rende la separazione del lavoro dalla propria vita personale difficile, se non impossibile, soprattutto quando si collabora con il proprio partner.



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