La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 by unknow

La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 by unknow

autore:unknow
La lingua: ita
Format: epub
editore: La Nave di Teseo Editore spa
pubblicato: 2020-04-22T22:00:00+00:00


3. L’interno e l’intorno

Vuoto: quando niente di esteriore corrisponde a una tensione interiore.14

Un’opera d’arte ha un autore, e tuttavia, se essa è perfetta, possiede qualcosa di essenzialmente anonimo.15

È incredibilmente arduo, oggi, se non quasi impossibile, entrare nel merito di una definizione di “interiorità” dello spazio costruito distinta dall’esteriorità dello stesso. Per far questo sarebbe necessario poter avere, della città, una visione d’insieme, che presuppone l’indispensabile presenza di una linea di confine, di un perimetro, dentro e fuori dal quale si possano individuare le differenze. In questo modo la città potrebbe ancora essere rappresentata, paragonandola, per esempio, come fece Leon Battista Alberti nel De re aedificatoria, a “una nave che non deve essere troppo grande e vuota da barcollare o troppo piccola e piena da non bastare”.16 Città come “interno”, dunque, protetto da un guscio, da una forma che racchiude e organizza lo spazio dell’uomo. Interno che, in quanto tale, si differenzia e distingue da un esterno per la sua limitatezza contro l’illimitato e per la sua costruzione contro il non costruito. Quindi tutto ciò che sta nella città non può essere fuori di essa ed è, allora, per definizione e per nascita solo “dentro”, interno, ciò che è contenuto. Rafforza questo concetto di città come “interiorità” ancora l’Alberti quando dice:

Raccontano gli antichi, Varrone, Plutarco ed altri che i vecchi padri solitamente definivano il tracciato delle mura della città con rituali religiosi ... e quando arrivavano ai luoghi destinati alle porte, alzavano l’aratro con le mani, in modo che le soglie rimanessero libere, e dicevano che, a esclusione delle porte, il cerchio tracciato e le mura erano cosa sacra.17

Dalle porte, dunque, entrava l’esterno, il nemico, ciò che poteva contaminare o distruggere la città e il suo “prezioso” contenuto: l’interno fragile che deve essere protetto e nascosto e che a sua volta nasconde e organizza in altre microstrutture con infinite forme le infinite attività umane. Questa era la città, ma questa non è la città. Ora il dentro e il fuori, non più identificabili, coincidono. Meglio: il dentro si rispecchia, rovesciato, in se stesso; e il fuori, non essendo più l’altro che permette l’identità proprio in quanto altro, si trasforma nel totalmente altro, in ciò che chiude, definisce, pone fine senza alcuna via di scampo: la morte, l’ultima riva a cui la “nave dei folli”, che è la città, approda. Se la città è totale e se essa è costitutivamente un “interno” lo spazio dell’uomo è divenuto un interno totale. E l’interno totale nell’ipotizzare il “necessario” esterno che non esiste più nello spazio di vita, lo associa all’inconoscibile, al terribile, al non controllabile. Apparentemente non è cambiato nulla rispetto al Quattrocento, poiché anche allora il “sublime” era l’esterno inconosciuto e temuto: solo in apparenza però, in quanto, non esistendo più come esterno che, proprio perché presente poteva essere pensato e tenuto lontano, controllato, è entrato con violenza nel profondo dell’interiorità del singolo, come risucchiato da un buco nero. L’interno più profondo dunque diviene esterno, lo spazio dell’interiorità è amplificato a dismisura e pericolosamente vicino, pronto ad annientare e distruggere, anche se apparentemente assente.



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