La fine della scienza by John Horgan;

La fine della scienza by John Horgan;

autore:John Horgan; [Horgan, John]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788845983931
editore: edigita
pubblicato: 2021-06-10T00:00:00+00:00


 QUALCHE PAROLA DA NOAM CHOMSKY

Uno dei più stimolanti critici della sociobiologia e di altre impostazioni darwiniane delle scienze sociali è Noam Chomsky, che è noto non soltanto come linguista ma anche come uno dei più intransigenti critici sociali d’America. La prima volta che vidi Chomsky di persona, teneva una conferenza sui comportamenti dei sindacati moderni. Era magro, con la leggera gobba del lettore cronico. Portava un paio di occhiali con la montatura d’acciaio, scarpe da tennis, pantaloni di cotone e una camicia con il collo sbottonato. Non fosse stato per le rughe sul viso e il grigio dei capelli alquanto lunghi, sarebbe potuto passare per uno studente di college, sia pure di quelli che preferiscono discutere di Hegel piuttosto che ingozzarsi di birra alle feste delle associazioni studentesche.

La tesi centrale di Chomsky era che i dirigenti sindacali si preoccupavano più di conservare il proprio potere che di rappresentare i lavoratori. Il suo pubblico? Dirigenti sindacali. Al momento del dibattito questi reagirono, come c’era da aspettarsi, assumendo un atteggiamento difensivo e perfino ostile. Ma Chomsky fronteggiava le loro obiezioni con una convinzione talmente pacata e irremovibile – e con uno sbarramento così implacabile di fatti – che in breve tempo i bersagli della sua critica cominciarono a fare cenni di assenso: sì, forse era vero che si stavano svendendo ai loro padroni capitalisti.

Quando più tardi manifestai a Chomsky la mia sorpresa per i toni duri della sua conferenza, mi disse che non gli interessava «dare alla gente dei trenta per avere ragione». Si opponeva a tutti i sistemi autoritari. Naturalmente di solito non se la prendeva con i sindacati, che hanno perso buona parte del loro potere, ma con il governo degli Stati Uniti, con l’industria e con i mezzi di comunicazione di massa. Definiva gli Stati Uniti una «superpotenza terrorista» e i mezzi di comunicazione il loro «agente propagandistico». Mi disse che se il «New York Times», uno dei suoi bersagli preferiti, avesse cominciato a recensire i suoi libri di argomento politico, per lui sarebbe stato il segno di essere su una strada sbagliata. Riassumeva la sua concezione del mondo nel motto: «Qualunque sia l’establishment, io sono contro».

Dissi che mi sembrava ironico che le sue idee politiche fossero così contrarie all’establishment, dal momento che nell’ambito della linguistica lui era l’establishment. «Non è vero» rispose seccamente. Nella sua voce, che di solito è ipnoticamente calma, anche quando sta facendo a pezzi qualcuno, d’improvviso avvertii una nota di aggressività. «La mia posizione in fatto di linguistica è minoritaria, e lo è sempre stata». Insistette nel dire che era «quasi del tutto incapace di imparare le lingue» e che, in verità, non era neppure un linguista di professione. Al MIT l’avevano assunto e gli avevano dato un posto di ruolo, a suo dire, soltanto perché in realtà non sapevano granché di discipline umanistiche e se ne infischiavano; dovevano semplicemente occupare un posto vuoto.12

Se mi soffermo su questo antefatto è per mettere in guardia il lettore. Chomsky è uno degli intellettuali più controcorrente che



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