Non uccidere by Adriana Cavarero & Angelo Scola

Non uccidere by Adriana Cavarero & Angelo Scola

autore:Adriana, Cavarero & Angelo, Scola [Adriana, Cavarero & Angelo, Scola]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Filosofia, Voci
ISBN: 9788815313355
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2013-10-14T22:00:00+00:00


Quando uccidere è lecito e giusto

Per quanto inneggi spesso alla pace, la Bibbia è ricca di stragi e guerre fatte in nome di Dio contro i nemici di Israele. La semantica culturale delle religioni monoteiste è notoriamente caratterizzata da un linguaggio della violenza crudo e feroce[5]. Valga come esempio l’episodio del vitello d’oro, nel quale un irato Mosè, gridando: «dice il Signore, il Dio di Israele, ciascuno di voi tenga la spada al fianco», aggiunge: «uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente»; «quel giorno perirono circa tremila uomini», conclude il testo (Es 19,26-28). Riguardo al trattamento riservato ai popoli nemici, leggiamo invece in un altro passo famoso, «nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio» (Dt 20,15-16). L’immagine, offerta dalla Bibbia, di un Dio violento e punitivo, che legifera e castiga, non può essere, del resto, meglio compendiata che dalla celebre parola del Decalogo in cui il Signore dice: «sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che mi odiano» (Es 20,5; Dt 5,9). Soprattutto per quanto riguarda l’ideologia guerresca deuteronomistica – e il ruolo in essa dello sterminio votivo o annientamento totale della popolazione (cherem)[6] – le citazioni potrebbero tragicamente continuare ma sono già sufficienti per evidenziare un punto fermo: lo stesso contesto in cui compare la sesta parola, nell’originaria accezione «forte e verticale del comandamento»[7], è intriso di un linguaggio di violenza e di guerra che conta sulla medesima verticalità della fonte.

Secondo una classificazione che gode ormai di un largo consenso, nella tradizione cristiana si trovano tre diverse posizioni nei confronti della guerra e della pace: il pacifismo, la guerra giusta e la crociata – quest’ultima nominabile anche come guerra santa[8]. Semplificando, potremmo dire che la posizione pacifista intende il comandamento come un «Non uccidere mai»; la teoria della guerra giusta lo intende invece come una proibizione dell’omicidio che si sospende in determinate circostanze. Quanto al paradigma della guerra santa, esso rovescia il comandamento trasformandolo nel temibile dettato «uccidi in nome di Dio». Che quest’ultimo paradigma, radicato nel linguaggio biblico, alimenti in vari modi – quanto si vuole iniqui e perversi – l’orrorismo fondamentalista della nostra epoca è un dato di fatto. Nella letteratura sul fenomeno, abbondano, oggi, libri esemplarmente intitolati Terror in the Name of God o Terror in the Mind of God[9].

Abbracciata soprattutto da alcuni gruppi del cristianesimo radicale dei primi secoli, la tesi pacifista, dopo la svolta di Agostino, conta ben pochi adepti, anche se ricompare nelle argomentazioni particolarmente convincenti di un umanista cristiano come Erasmo da Rotterdam, all’inizio del Cinquecento. L’opera di Agostino di Ippona è, appunto, decisiva. Riprendendo un concetto del diritto romano, egli introduce nel pensiero cristiano la categoria di justum bellum, ossia quel complesso apparato teorico che, pur mirando a stabilire dei limiti alla guerra e contenerne gli eccessi, finisce per giustificarla e legittimare perciò l’uccisione del nemico.



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