Stephen King by Later
autore:Later
Format: epub
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QUANDO uscii dal nostro appartamento per lâultimo giorno di scuola, Therriault era di nuovo dentro lâascensore. Sorrise e mi fece il solito cenno di saluto. Probabilmente si aspettava che mi ritraessi, come la prima volta che lo avevo visto lì dentro, però non lo feci. Ero spaventato, certo, ma un poâ meno, perché mi stavo abituando alla sua presenza proprio come ci si abitua a un bubbone o a una voglia sulla faccia, anche se rimane orribile. Stavolta ero più arrabbiato che terrorizzato, perché quello stronzo non ne voleva sapere di lasciarmi in pace.
Invece di ritrarmi feci uno scatto in avanti per bloccare le porte dellâascensore, che si stavano richiudendo. Non volevo certo entrare nella cabina insieme a lui â Cristo santo, no! â, ma non intendevo neppure lasciare che le porte si richiudessero prima di avere avuto qualche risposta.
«Mia madre ha veramente il cancro?»
Anche stavolta il viso si contrasse in una smorfia, come se gli stessi facendo del male, e anche stavolta sperai che fosse veramente così.
«Mia madre ha veramente il cancro?»
«Non lo so», rispose, lanciandomi unâocchiata carica di odio. Sapete come si dice: Se si potesse uccidere con uno sguardoâ¦
«Allora perché lâhai detto?»
Adesso si era spostato verso il fondo della cabina, con le mani premute contro il petto, come se fossi io a spaventare lui. Si voltò di lato per mostrarmi quellâenorme foro di uscita, ma se in quel modo credeva di farmi indietreggiare e di far richiudere le porte, si sbagliava di grosso. Per quanto lo spettacolo fosse orrendo, ormai ci avevo fatto lâabitudine.
«Perché lâhai detto?»
«Perché ti odio», disse Therriault, e snudò i denti.
«Perché sei ancora qui? Comâè possibile?»
«Non lo so.»
«Vattene.»
Non rispose.
«Vattene via!»
«Non me ne vado. Non me ne andrò mai.»
Quella risposta mi spaventò a morte, e il braccio mi ricadde lungo il fianco come se fosse diventato pesantissimo.
«Ci vediamo, Campione.»
Le porte dellâascensore si richiusero, ma la cabina non si mosse, perché non câera nessuno, dentro, che potesse premere il pulsante di discesa. Quando schiacciai io quello di chiamata le porte si riaprirono su una cabina vuota, però decisi ugualmente di scendere per le scale.
Farò lâabitudine alla sua presenza, pensai. Mi sono abituato al buco che ha in testa, quindi mi abituerò anche a lui. Tanto non può farmi niente.
In realtà , però, mi aveva già fatto del male: il disastro nella verifica di matematica e quello nelle gare di nuoto erano solo due esempi. Dormivo male (mamma aveva già fatto dei commenti sulle borse che avevo sotto gli occhi), e bastava un piccolo rumore, un libro che cadesse nella biblioteca della scuola, per esempio, a farmi sussultare. Continuavo a pensare che prima o poi avrei aperto lâarmadio per prendere una camicia e lo avrei trovato lì, trasformato nella mia personalissima versione dellâuomo nero. O sotto il letto, magari, pronto ad afferrarmi un polso o un piede penzoloni mentre dormivo. In realtà , non credevo che potesse afferrare niente, ma non ero sicuro neanche di questo, soprattutto se era vero che stava guadagnando forza.
E se mi fossi svegliato e
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